Gesù sta “tra”
Gesù è sul lago di Galilea, nella regione attorno a Cafarnao (cf. Mc 2,1). Il brano che leggiamo oggi si trova tra una guarigione avvenuta nella sinagoga, che apre una discussione su cosa è più giusto: aiutare il sofferente o seguire il precetto (cf. Mc 3,1-6) e la scelta di Gesù di dodici discepoli che gli fossero più vicini e che diffondessero la Parola (cf. Mc 3,13-19).
Tra due folle. Gesù è assieme ai suoi primi discepoli, sono tanti, non sono ancora stati scelti i dodici. Marco si sofferma in maniera precisa sulle provenienze geografiche della moltitudine che segue Gesù. Galilea, Giudea, Gerusalemme, Idumea, oltre il Giordano e le parti di Tiro e Sidone: tutte le aree geografiche che attorniano il lago sono presenti. Cosa ha attirato questa moltitudine? Marco ci dice che hanno “sentito quanto faceva” (cf. v. 8). La fama di Gesù si diffonde, si diffonde soprattutto la notizia di quello che fa, ovvero guarisce i sofferenti. Questa moltitudine cerca guarigione.
Marco usa per due volte il termine pléthos (“folla”, vv. 7.8) per indicare coloro che accorrono presso di lui. È l’unico brano di Marco in cui utilizza questo termine. Per tutto il resto del suo vangelo la folla sarà ochlos. Proprio in questo brano avviene il passaggio. Quando Gesù chiede ai suoi discepoli di tenergli pronta una barchetta (cf. v. 9), il termine che Marco usa è ochlos. Da una moltitudine che accorre per vedere fare dei miracoli, si fa strada una moltitudine che ascolta la voce di Gesù. Una moltitudine che cerca e per trovare deve ascoltare. Gesù guarisce e allo stesso tempo è maestro.
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Tra due mari. Proviamo a immaginare la scena: Gesù è sulla spiaggia, alle sue spalle il lago, davanti ai suoi occhi la folla, tanti corpi che spingono per raggiungerlo, tante mani tese a toccarlo. Se provassimo a guardare la scena dall’alto, a volo d’uccello, Gesù si trova tra due mari: uno fatto d’acqua, l’altro fatto di persone. Entrambi sono in tumulto, entrambi sembrano minacciosi. Il mare nella mentalità biblica indica ciò che non può essere domato, tutto ciò che è caotico. Le azioni della folla tesa verso Gesù vengono indicate con due verbi minacciosi: thlibō, “schiacciare” (v. 9) e epipiptō, “buttarsi addosso”(v. 10). Gesù è minacciato da ogni parte, sembra non avere scampo. Fa richiesta di una barchetta, ma Marco non ci dice che la userà, infatti i passi di Gesù andranno verso un monte (cf. v. 13). Anche se minacciato, schiacciato, cercato da tante mani che lo vogliono toccare, Gesù resta saldo e fermo in questo mare. Lui ha la certezza di essere figlio di Dio, ed è quello che gli spiriti impuri gli confermano. Gesù non teme, il Padre è con lui, Marco ce lo confermerà al capitolo 4 nel momento in cui Gesù dirà al mare “Taci, calmati!” (Mc 4,39) e il mare lo farà. Di fronte a questo avvenimento i discepoli diranno “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?” (Mc 4,41): è il figlio di Dio. Anche noi possiamo cantare assieme a questa folla il salmo 46: “Il Signore dell’universo è sempre con noi, il nostro rifugio è il Dio di Giacobbe!” (v. 8).
È ancora presto. Gesù resta saldo anche contro le lusinghe che gli possono arrivare dalla folla. È famoso perché guarisce, tutti vogliono toccarlo, tutti vogliono un pezzo di quella energia che viene da lui. Ma non è questo il modo giusto di essere figlio di Dio. Anche se gli spiriti impuri lo chiamano nella maniera giusta, Gesù li fa tacere perché non è in quel sensazionalismo che si rivelerà la sua presenza in mezzo al popolo. La folla cerca in lui un eroe, Gesù rivelerà attraverso la sua vita che la strada per il discepolo è diversa, fatta di umiltà, ascolto e obbedienza; come vero figlio obbediente al Padre.
fratel Elia
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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