Il Vangelo, che ci è sempre anche di lezione, correzione e consolazione, oggi ci mostra un esempio del tutto negativo per guardare gli altri, cioè osservarli non per ascoltarli e dare loro attenzione, non per farsi loro prossimo né per imparare da loro, ma per avere una prova in più per accusarli. Infatti gli autori di quello sguardo subito dopo trameranno con alleati politici per far morire colui che hanno già condannato.
Il Vangelo ci mostra fino a che punto ogni sguardo di odio sia cieco sulla realtà, del tutto insensibile al dolore e al bene altrui. Incattivito, ma non dal male che vediamo bensì dal bene, ahimé: da chi si prende cura delle nostre malattie, rivelando così la presenza compassionevole del Signore in mezzo a noi.
Nel testo – e questo ci ammonisce come lettori del Vangelo – sono religiose le persone che guardano solo per giudicare e accusare, disinteressate al fatto che Gesù stia facendo del bene oppure del male. Sembrano sicure di non aver nulla da imparare da ciò che vedono, Gesù non suscita in loro alcuna domanda. Solo li conferma in ciò che hanno già deciso nel loro cuore: la sua condanna.
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Qui il loro errore fatale: non si chiedono il perché li irriti così tanto la sua presenza benevola verso i poveri , i malati e i peccatori; il perché sia sempre una piccola mancanza alla tradizione – così la vedono – a suscitare la loro rabbia assurda verso di lui, e mai e poi mai l’incuria nei confronti delle cose capitali della Torà: l’amore, la fedeltà, l’ascolto del bisogno altrui. Altrove Gesù rimprovera questa nostra cecità e ipocrisia con una parola fulminante, un’ammonizione perenne: “Voi che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!”.
E ciò che dà più risalto a questo sguardo cieco e cattivo è che avvenga in una sinagoga, il luogo per ascoltare la Parola di Dio, per pregare e imparare dagli altri; e che il motivo sia lo sguardo compassionevole di Gesù che, vedendo un uomo handicappato, lo chiama in mezzo a tutti per guarirlo.
Infatti Gesù, vedendo l’uomo con la mano inaridita, pur sentendo su di sé lo sguardo ottuso e giudicante di cui era oggetto, non perde la sua libertà di uomo di Dio venuto per fare il bene. Chiama quell’uomo malato nel mezzo, perché tutti lo vedano come la presenza centrale lì in quell’oggi di Dio, dicendogli: “Alzati!”, che significa: ricomincia a vivere, risorgi a vita nuova.
Ma Gesù, per tenere aperta la possibilità di relazione e di guarigione anche con i suoi avversari che lo insidiano col loro giudizio di condanna, prima di guarire quell’uomo, pone loro una domanda: “È lecito in giorno di sabato fare del bene o del male, salvare una vita o perderla?”. Gesù, riecheggiando la Torà, ci chiama alla responsabilità di scegliere ogni giorno di fare il bene e di rifiutare ogni giorno il male, di salvare una vita e non di perderla. Responsabilità mai sospesa, e accresciuta nel giorno di sabato.
Infatti, se Dio ci dona il sabato per porre un freno al nostro potere sulle altre persone e sugli animali che ci servono e accompagnano, tanto più di sabato c’è la responsabilità di narrare la sollecitudine di Dio per la gioia e la salvezza degli umani sofferenti.
sorella Maria
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