Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 19 Dicembre 2022

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La forza di un lieto annuncio

Luca narra con abbondanza di dettagli l’annuncio della nascita di Giovanni Battista, il Precursore del Messia.

Suo padre si chiama Zaccaria, nome che agli orecchi di un semita suona come “Il Signore si è ricordato”; sua madre porta il nome di Elisabetta, che significa “Il mio Dio ha giurato” o forse “Il mio Dio è pienezza”. Nomi che però sembrano contraddetti dalla realtà delle loro biografie, segnate da infecondità e mancanza.

Zaccaria ed Elisabetta sono due “giusti davanti a Dio”, ma sono sterili. Sono ormai anziani e il Signore tarda a manifestarsi, sembra proprio non voler contraccambiare la loro irreprensibilità con la benedizione di un figlio: non si ricorda di Zaccaria e non riempie di vita il grembo vuoto di Elisabetta…

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La vita porta con sé realtà che leggiamo come contraddizioni e possiamo patire come profonde ingiustizie. Soprattutto se siamo credenti, perché il primo riflesso è quello di cercarne le ragioni in Dio. Ma nella fede che nasce dall’ascolto sentiamo un appello a uscire da una mentalità contrattuale di questo tipo per entrare in una relazione da vivere sotto un altro segno. Una relazione in cui niente è dovuto, tutto è donato.

C’è forse da lasciar andare ciò che riteniamo sia dovuto – tanto non ci sarà mai dato secondo i nostri piani e le nostre proiezioni! – per accogliere il tutto che si offre a noi in quel po’ che ci è donato.

Mi piace pensare che Zaccaria e Elisabetta abbiano ricevuto un figlio quando, ormai vecchi, non lo pretendevano più… Non che non lo attendessero più, l’angelo dice infatti a Zaccaria: “La tua preghiera è stata esaudita e tua moglie ti darà un figlio”, il che sembra implicare che Zaccaria non avesse smesso di pregare e attendere. Ma sterilità e anzianità ci suggeriscono che ciò che finalmente ottiene è una fecondità che lui ed Elisabetta ormai sapevano bene di non potersi dare da soli (cf. v. 18).

Forse il passare degli anni purifica le nostre attese. Guardiamoci però dal lasciare che ci consegni a una disillusione che chiude il futuro. Le tante occasioni perse, le nostre abitudini inveterate finiscono per convincerci di vecchiezza, di un certa incapacità – che poco a poco giungiamo ad avvertire come incapacità certa – di novità.

Proprio allora anche a noi è inviato un angelo. L’angelo è un messaggero, esiste in funzione del messaggio che porta: questa la sua reale consistenza. Viene a dirci: “Non temere”. Si chiama Gabriele, cioè “Dio è la mia forza”. Perché abbiamo bisogno di prestare fede alla forza di questo annuncio per dare anche noi alla luce una nuova vita, una novità di vita. Credendoci, ecco che questa novità, come il Precursore, preparerà in noi e tra di noi una via al Messia veniente.

Zaccaria dovrà imporre alla nuova vita donatagli in Elisabetta il nome Giovanni, cioè “Il Signore fa grazia”. Analogamente possiamo intendere per noi un appello a riconoscere come il Signore ci fa grazia. Non ci arriveremo subito. Resteremo muti, incapaci di nominare tale miracolo. Serve tempo per reimparare ad aprire la bocca per benedire (cf. Lc 1,63-64). Serve una comprensione più profonda, che scavi la nostra così limitata.

Non si tratta infatti di chiamare “grazia” ciò che non lo è. No, non chiamare le tenebre luce, piuttosto rischiarati al discreto fulgore della luce che brilla nonostante le tenebre!

fratel Fabio

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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