“Considerate la vostra chiamata, fratelli, sorelle: non ci sono tra di voi molti sapienti da un punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 1,26-29).
Quando Paolo rivolge queste parole alla comunità di Corinto sta spiegando quella che è la prassi di Dio nell’antica e nella nuova alleanza. Dio ha scelto il popolo di Israele non perché più numeroso di tutti gli altri popoli ma per amore (cf. Dt 7,7-8). Per inviare nel mondo Giovanni Battista ha scelto una donna sterile, Elisabetta, sterile come le madri di molte figure dell’antica alleanza; pensiamo anche solo a Sara. Indubbiamente tutti gli esseri umani sono segnati da limiti, sono “piccoli” davanti a Dio, ma a volte, quando la piccolezza e i limiti sono meno visibili, si rischia di mettersi al posto di Dio (tra io e Dio, in fondo, c’è soltanto una “d” di differenza). E Dio allora sceglie proprio i più piccoli, i più poveri per manifestare la sua opera di salvezza.
Di Zaccaria ed Elisabetta si dice che erano giusti davanti a Dio, come lo si dirà di Giuseppe (cf. Mt 1,19). Avevano desiderato un figlio. L’avere una numerosa discendenza non era forse considerato segno di benedizione divina? Ma la sterilità in età avanzata doveva ormai essere considerata definitiva e vissuta come vergogna. Sembra non ci sia più niente da aspettare; come spesso accade nelle nostre vite, l’attesa si raffredda, soffocata dalla stanchezza, non si attende più nulla. Perseverare nell’essere “giusti davanti a Dio” non premia! Quante volte nei Salmi si leva il lamento del popolo di Israele che soffre: “Ci hai respinto e coperto di vergogna … Tutto questo ci è accaduto e noi non ti avevamo dimenticato … Svegliati! Perché dormi?” (Sal 44,10.18.24). Ma ora si sta per ripetere ciò che è avvenuto per Abramo e Sara (cf. Eb 11,11): “C’è forse qualcosa di impossibile per il Signore?” (Gen 18,14).
Ci sorprende il castigo annunciato a Zaccaria. Anche Abramo (cf. Gen 15,8), Gedeone (cf. Gdc 6,36-37), Ezechia (cf. 2Re 20,8) hanno chiesto un segno di conferma senza incorrere in nessun rimprovero. Forse potremmo cercare di scavare più a fondo nel testo. Al v. 20 mi sembra meglio tradurre: “Ed ecco tu sarai silenzioso”. Non si dice che Zaccaria diventa “muto” (l’espressione greca sarebbe diversa), ma che resta silenzioso di fronte al compimento di un desiderio a cui aveva ormai rinunciato, rassegnandosi alla realtà, non osando sperare più nulla. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere; è il tempo dello stupore, della meraviglia adorante che si aprirà in un canto profetico alla nascita di Giovanni; del resto, anche Elisabetta resterà in silenzio, nel nascondimento.
La gioia di Zaccaria diventerà la gioia di molti. La nascita di un figlio è fonte di gioia per i genitori e i parenti ma qui la gioia deborda, trabocca all’esterno del nucleo familiare. La buona notizia, l’evangelo sorge già con il messaggio dell’angelo a Zaccaria.
Zaccaria resta in silenzio; il sacerdote dopo aver presentato l’offerta doveva pronunciare la benedizione sul popolo in attesa. Ma questa benedizione non può essere impartita; Zaccaria resta in silenzio, anche lui si ritrae come farà suo figlio. La benedizione verrà data da Gesù, non più in un tempio di pietre. Ce lo racconta Luca alla fine del suo racconto; Gesù conduce i suoi discepoli “fuori, verso Betania e alzate le mani, li benedisse” (Lc 24,50). È lui il sommo sacerdote (cf. Eb 4,15) che sa compatire le nostre debolezze, che benedice il tempio vivente che è la sua comunità. E allora il silenzio stupito e adorante di Zaccaria che contempliamo in questi giorni prima di Natale ci rinvia a quella benedizione che segna la definitiva apertura tra cielo e terra.
sorella Lisa
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