Egli merita che tu gli conceda quello che chiede
Il brano odierno ci parla della missione di Gesù, di coloro a cui è indirizzata e di chi sa accoglierla.
Luca riporta un episodio riferito anche da Matteo 8,5-13, facendo alcuni cambiamenti e inserendolo in una trama che fa emergere molte allusioni scritturistiche. A differenza del testo matteano, il centurione ⎼ un pagano ⎼ non ricorre personalmente a Gesù ma chiede ad alcuni anziani dei Giudei di presentare a Gesù la sua richiesta. Questi, precisa Luca, dicono a Gesù: “Egli merita che tu gli conceda quello che chiede, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga” (vv. 4-5).
Egli merita, letteralmente: è degno (axios, “degno”, cf. Lc 15,19.21). Ma si può meritare la salvezza? Quello che dicono gli anziani dei giudei è interessante perché ci fa vedere che nel rapporto tra Israele e le genti non necessariamente c’è opposizione. Questo pagano nei confronti di Israele ha lo stesso atteggiamento di Dio: ama il nostro popolo. Il verbo amare è infatti il termine usato per dire la relazione tra il Signore e Israele.
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Nella Scrittura la presenza di Israele tra le genti ha anche un valore di testimonianza della fedeltà del Signore ed è un mezzo per attirare tutte le genti al Dio uno e santo. “Verranno molti popoli e diranno: ‘Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri’” (Is 2,3). Al contempo, a Israele è chiesto di vedere nelle genti la presenza di una bontà e di una ricerca suscitata in esse dall’unico Creatore.
Il centurione ama i giudei e ha una relazione piena di rispetto anche verso il suo servo: questi l’aveva molto caro ⎼ letteralmente: era per lui di grande valore, portato in onore, pretiosus dice la traduzione latina⎼. I profeti avevano detto: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Mi 6,8). Esempio di umiltà, egli ritiene di non essere all’altezza di andare lui stesso da Gesù ⎼ non sufficientemente largo, stesso termine usato dal Battista (cf. Lc 3,16 )⎼. Non pretende la grazia, la invoca. In questo, credo, Gesù ha potuto additarlo come esempio di fede grande. Perché la salvezza è sempre un dono, una grazia che ci rivela il desiderio di Dio nei confronti delle sue creature, non qualcosa che possiamo meritare.
La pericope odierna fa parte della sezione che riporta l’inizio dell’attività pubblica di Gesù ed è delimitata da due citazioni scritturistiche che si corrispondono: il mandato messianico proclamato in Lc 4,18-19 (“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”, cf. Is 61,1-2 LXX) e la risposta data agli inviati del Battista in Lc 7,22 (“I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia”).
Al centro della sezione vi è la chiamata dei discepoli e la proclamazione delle beatitudini, prima e dopo molte guarigioni che attestano la qualità messianica di Gesù. In particolare, nel capitolo 7 Luca ci presenta Gesù come nuovo Elia: la resurrezione del figlio della vedova e una guarigione che raggiunge anche i pagani ci rimandano al ciclo di Elia-Eliseo nei libri dei Re. Elia è il profeta che deve uscire dai confini di Israele e ripensare l’esperienza dell’incontro con Dio in modo nuovo rispetto alla manifestazione potente del Sinai. Elia è il profeta che deve restare fedele alla proclamazione dell’unicità di Dio anche nell’esilio e per questo apre l’orizzonte anche alle genti.
Luca ha presente questo orizzonte e il centurione di Cafarnao ne è un esempio: uomo buono, compassionevole, generoso, capace di discernimento in quanto ascoltava, fiducioso di poter invocare la salvezza. Egli si rivolge ai giudei per poter accedere a Gesù e conosce che l’autorità di Gesù è un potere per la vita. Nel suo agire umile e fiducioso porta anche noi a riconoscere che l’agire di Dio è grazia non meritata, ma necessaria, perché il desiderio del Signore, ciò che Gesù stesso ha vissuto, è operare la salvezza nella terra, accogliere nel suo regno ogni figlio d’uomo.
sorella Raffaela
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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