Nel Vangelo secondo Luca non tutti gli annunci della passione del Figlio dell’uomo menzionano la sua resurrezione nel terzo giorno. Non solo, ma Luca sottolinea qui che tutto avviene affinché si compia “ciò che è stato scritto per mezzo dei profeti”. C’è una necessità che guida il cammino di Gesù verso Gerusalemme, e che si identifica con la sua libera adesione alla parola del Padre. Non è – come troppo spesso siamo tentati di pensare e come molte volte è stato affermato nella tradizione teologica – la volontà di un padre perverso che chiede la morte del figlio, ma una volontà di amore e salvezza che Gesù annuncia con la sua parola e manifesta nelle sue opere. Il rifiuto di questo dono da parte non solo dei pagani (cf. Lc 18,32), ma anche delle autorità religiose ebraiche (cf. Lc 9,22), degli “uomini” (Lc 9,44), di “questa generazione” (Lc 17,25), dei “peccatori” (Lc 24,7), è la vera causa della passione e morte del Cristo. Tutti – anche noi – siamo responsabili della sua morte. Ma sfuggire a questa morte (e il fatto che Gesù la prevedesse significa che era libero di farlo) avrebbe significato anche rinunciare a testimoniare l’amore di Dio fino all’estremo.
Quello che era chiaro per Gesù, rimane oscuro ed enigmatico per i discepoli. Questa parola così esplicita rimane per loro velata e li riempie di paura (cf. Lc 9,45). Come mai?
La parola della croce è avvolta nel mistero di Dio. Come ha scritto Paolo, è lo scandalo della follia di Dio, del suo amore misericordioso che noi non riusciamo a comprendere. Parlarne troppo significa banalizzare il mistero, cancellare il senso della croce per la nostra vita. Solo dopo la resurrezione i discepoli lo comprenderanno, quando il Risorto aprirà le loro menti all’intelligenza delle Scritture (cf. Lc 24,45).
Ma se i discepoli restano ciechi, un’altra persona diviene veggente.
Gesù è giunto nel luogo abitato più basso della terra, Gerico, la città delle palme (cf. Dt 34,3). È vicino il termine del suo viaggio: Gerusalemme dista solo una giornata di cammino. E qui Luca narra il luminoso miracolo della guarigione di un cieco, l’ultimo compiuto da Gesù.
Gesù passa e la folla rumoreggia. Un mendicante al bordo della strada chiede che cosa stia avvenendo. Sta passando Gesù, il Nazareno. Paradossalmente, quest’uomo non vedente vede quello che la folla non vede. In Gesù discerne non solo il predicatore di successo, ma proprio il “figlio di David”, lo riconosce come il Messia che può veramente guarirlo.
È il Messia adombrato nella profezia di Isaia, che annuncia la salvezza e il perdono di Dio e con il quale Gesù si era identificato: “Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha unto: per annunciare la gioiosa notizia ai poveri; mi ha mandato a proclamare ai prigionieri la libertà e ai ciechi il recupero della vista …” (Lc 4,18-19; cf. Is 61,1-2a; 58,6).
Allora quest’uomo di cui il vangelo tace il nome (ogni lettore può identificarsi con lui), recuperando la vista comincia anche a seguire Gesù “glorificando Dio” (v. 43), accompagna il Cristo nell’ultimo tratto del suo cammino che lo condurrà alla passione e morte. Anche a noi occorrono occhi di fede per vedere la gloria della croce come estremo atto di amore, e credere nella resurrezione.
fratel Adalberto
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Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18, 35-43
Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!».
Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.
Parola del Signore