Un lungo elenco di nomi, quasi una filastrocca, scompigliata solo da tre nomi di donne – più una quarta indicata con una parafrasi – e da una scansione temporale segnata da un re e da una deportazione in esilio, conclusa poi da uno scostamento brusco su una quinta donna.
Questo il vangelo, la “buona notizia” per noi oggi, nel giorno in cui si apre la novena di Natale. Ma non sarebbe bastato un solo versetto, più essenziale: “Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo, nato da Maria, sposa di Giuseppe, della tribù di Giuda”? No, non sarebbe bastato, e infatti Luca, invece di scendere di generazione in generazione da Abramo a Gesù, risale di paternità in paternità da Gesù addirittura fino ad Adamo, figlio di Dio.
Non sarebbe bastato perché per comprendere in profondità il senso dell’incarnazione bisognava passare attraverso l’impasto concreto di umanità fatto di uomini e donne con le loro miserie e le loro grandezze, con la quotidianità di una vita che genera altra vita.
Allora il guardare più da vicino le donne di una genealogia tutta al maschile può essere l’occasione per accostarci non a un’umanità ideale, ma al concreto e contraddittorio snodarsi dell’avventura umana sulla terra. Incontriamo così Tamar (cf. Gen 38,6-30), obbligata a fingersi prostituta per veder rispettati i diritti che una società patriarcale le negava dopo averglieli formalmente assicurati. Poi abbiamo Racab (cf. Gs 2,1-24), prostituta che potremmo giudicare traditrice dei suoi concittadini di Gerico, ma che di fronte a un imminente, ineluttabile annientamento di tutta la città, riuscì almeno a mettere in salvo l’intera sua famiglia, come Lot. Poi c’è Rut la moabita, nipote di Racab e bisnonna del re Davide: una vedova che per amore fedele accetta di seguire la suocera, a sua volta vedova, in un paese straniero dove le donne straniere sono emarginate: alla sua vicenda la Bibbia dedica un libro intero, da leggersi in un solo giorno nella festa della Pentecoste, perché il bene di cui ci narra non conosce pause e interruzioni. Infine c’è l’innominata, una donna abusata dal re spasimante che poi commissiona la morte del marito per coprire il proprio misfatto, una donna che non solo subisce violenza, ma che verrà ricordata come adultera, mentre tale appellativo scivolerà via dalle spalle del re suo signore.
Queste le donne nominate. Accanto a loro, anzi, sopra di loro come a soverchiarle per numero e importanza, abbiamo re trionfanti e altri esiliati, figure note e uomini di potere caduti in disgrazia, come anche oscuri testimoni di una promessa che resta viva. Anche questo è vangelo, buona notizia perché ci ricorda che Dio si è fatto uomo non per finta né per gioco, che il Figlio di Dio ha potuto essere chiamato “figlio di Giuseppe di Nazaret”, che la redenzione, la promessa realizzata della vita più forte della morte passa attraverso i sentieri tortuosi delle nostre esistenze quotidiane. La consapevolezza che l’amore misericordioso di Dio in Gesù ha ricoperto quell’ordinaria sequenza di nomi ci porterà allora a riconoscerlo presente in ogni istante della nostra vita, nel quotidiano di ogni incontro con i nostri fratelli e sorelle in umanità.
fratel Guido
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