Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 16 Settembre 2019

“Il centurione l’aveva molto caro”. Un padrone capace di umanità, in un contesto sociale in cui i servi erano in genere trattati come cose, come oggetti parlanti. Ai suoi occhi, quel servo è éntimos, secondo il testo greco, pretiosus, tradurrà la Vulgata, non tanto in riferimento al prezzo pagato per acquistare lo schiavo, quanto al legame di affetto che lega i due uomini, quali compagni di umanità, sebbene distanti sulla scala sociale.

Il pensiero corre alla profezia di Isaia, là dove Dio si rivolge al suo popolo:

Così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe,
che ti ha plasmato, o Israele:
“Non temere, perché io ti ho riscattato,
ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. […]
Perché tu sei prezioso (éntimos) ai miei occhi,
perché sei degno di stima e io ti amo” (Is 43,1.4). 

Vi è dunque uno sguardo amante che ci accarezza e ci aiuta ad accogliere noi stessi, a guardarci con occhio benevolo e a dilatare questo sguardo di bene, posandolo anche sugli altri. Chi è stato guardato, una volta, con amore, conosce il dolce peso di quello sguardo su di sé, che ha la forza di in-formare, di dare forma alla nostra attenzione: “Una delle verità fondamentali del cristianesimo, oggi misconosciuta da tutti, è che lo sguardo è ciò che salva” (S. Weil).

E noi sappiamo – come ricorda l’apostolo Pietro – che “non a prezzo di cose effimere, come argento e oro” siamo stati liberati dall’uomo vecchio che trascinavamo in noi, ma grazie al dono tale di Cristo, che ha consegnato la sua vita per noi (1Pt 1,18-19). Con il linguaggio degli antichi, in un ambiente in cui la schiavitù in vigore implicava che gli schiavi venissero comprati e venduti come merce, possiamo dire che siamo stati “comprati a caro prezzo” (1Cor 6,20; 7,23). A proposito di questo grande mistero di amore, Dietrich Bonhoffer scriveva: “È a caro prezzo perché ci chiama a seguire, è grazia, perché chiama a seguire Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché l’uomo l’acquista al prezzo della propria vita, è grazia, perché proprio in questo modo gli dona la vita. La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata molto a Dio; a Dio è costata la vita del suo Figlio. È soprattutto grazia, perché Dio non ha ritenuto troppo caro il suo Figlio per riscattare la nostra vita, ma lo ha dato per noi. Grazia cara è l’incarnazione di Dio”.

Così la fede umile di un pagano, di un centurione, affida alla misericordia del Signore la fragilità di un uomo: lo fa con tatto, con delicatezza, a distanza, senza intrusioni, cercando di non modificare la traiettoria del cammino di Gesù, e le sue parole sono pervase di rispetto e deferenza: “Signore, non disturbarti! Io non sono degno…”. Parole che suggeriscono la postura ecclesiale fondamentale, quella dell’intercessione che porta e sopporta i pesi dell’altro e quella dell’umiltà di chi vede il proprio limite, la propria finitudine e la propria mancanza. Parole che hanno trovato ospitalità nella liturgia della Chiesa, al momento della comunione eucaristica: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa; ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”.

Eppure, come notava Agostino di Ippona, “l’umiltà del centurione fu la porta per cui entrò il Signore”…

fratel Emanuele

Fonte

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Neanche in Israele ho trovato una fede così grande.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 7, 1-10

In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao.
Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Parola del Signore

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