Contro la paura
Gesù è vicino a Gerusalemme. È ben consapevole di quello che potrebbe accadergli. I suoi discepoli un po’ meno. Il parlare di Gesù sul suo destino tragico resta per loro oscuro. Non comprendono. Non possono o forse non vogliono comprendere. Perché sognano una realtà che non c’è. Semplicemente non esiste. Aspettano la manifestazione imminente del regno di Dio. Politica, economica, sociale: un’epifania di un Dio potente che dovrebbe spazzare il vecchio sistema di oppressione e stabilire un nuovo ordine delle cose.
Gesù racconta loro una parabola un po’ enigmatica e con frammenti di violenza che creano non poco imbarazzo e facciamo fatica a decifrare. Non è un trattato di economia. Non è una guida all’investimento in banca o alla speculazione finanziaria in borsa. Non è un inno della libera iniziativa capitalistica. Non è un invito sperticato al trading o a qualsiasi attività di acquisto e vendita di azioni, valute, crypto, futures, pur di moltiplicare i soldi a non finire. E non è nemmeno una storia edificante e moralistica che invita semplicemente a far fruttificare le proprie doti naturali.
Gesù racconta una storia, a tratti realistica a tratti immaginifica e per certi versi cinica, perché vuole risvegliare la sua comunità addormentata sugli allori, vuole aprire gli occhi dei suoi discepoli per aiutarli a riconoscere un mostro terribile che li divora, che è una costante anche in noi: la paura. Al centro della storiella c’è la paura del terzo servo che, ricevuta la moneta d’oro o la mina (che equivale a cento giornate lavorative), la nasconde in un fazzoletto.
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I discepoli hanno paura. Ecco perché non comprendono fino in fondo le parole del loro Maestro che preannuncia odio, derisioni e insulti, sputi e flagellazioni e infine la sua morte in croce. E si perdono anche la previsione dell’evento che sì, darà un nuovo corso alla storia: l’alba della resurrezione, la vittoria sbalorditiva dell’amore sulla morte. I discepoli vivono per paura la tentazione di sempre: “Maestro, è bello per noi essere qui” (Lc 9,33). È il rifugio confortante in un conservatorismo estetico, pio e illusorio, ma che alimenta frustrazioni a più non posso e infiniti sensi di colpa. È la costruzione di cabine interiori insonorizzate che assorbono tutto il vociare umano e ci rendono insensibili e indifferenti al grido dei poveri, i soli che possono farci sintonizzare sulle frequenze radio del Dio di Gesù Cristo. È l’illusione di poter respirare aria ossigenata e incontaminata solo in camere iperbariche protette, senza sporcarsi le mani con la realtà, senza respirare anche la polvere delle nostre strade.
Ciascuno di noi ha almeno una moneta d’oro, ricevuta in dono, ben nascosta nel fazzoletto, in un angolo nascosto del nostro cuore. Ci vuole una vita per riconoscerla e non c’è dubbio: è il “deposito” della fede che il discepolo è esortato a custodire, è la parola di Dio seminata in noi. Ma basta un attimo per archiviarla in un luogo segreto, inaccessibile e dimenticare persino la password per sbloccarla. Quella moneta diventa “liofilizzata”: eliminato ogni pericolo di perdita o deterioramento, è imbalsamata, resa inerte, sterile. La Parola ricevuta in dono, accolta invece senza paura, fa della nostra vita un rischio che rende le nostre esistenze autentiche, gioiose, creative e fruttuose.
fratel Giandomenico
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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