Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 15 Ottobre 2021

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Di questo breve testo del Vangelo secondo Luca vorrei cogliere due espressioni, che corrispondono a due imperativi sulla bocca di Gesù, uno espresso in forma positiva e l’altro in forma negativa: “Guardatevi”, e: “Non abbiate paura”. 

“Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia” (v. 1). Se in precedenza Gesù si era rivolto con parole forti a farisei e dottori della legge, ora si rivolge con altrettanta franchezza “anzitutto ai suoi discepoli” (v. 1). A noi, dunque, per metterci in guardia dal lievito dell’ipocrisia. Perché c’è un lievito buono, il lievito del Regno, che è fermento di vita (cf. Lc 13,20), e c’è un lievito cattivo, che è fermento di corruzione, un male subdolo che insidia la vita del discepolo e della comunità cristiana. Sì, anche il discepolo di Gesù è minacciato da questo lievito malefico che è l’hypókrisis, la duplicità, la doppiezza.

Va ricordato che l’hypokrités indicava l’attore, il quale con il volto coperto da una maschera recitava una “parte” che non corrispondeva alla sua personale verità: un “teatrante”. Da qui il senso metaforico di doppiezza, di simulazione. “L’ipocrisia è una distorsione esistenziale” (papa Francesco), una sorta di schizofrenia che provoca una divisione interna, uno sdoppiamento della persona: c’è incoerenza tra il pensare e il dire, tra il dire e il fare. Un’ipocrisia che si esprime anche come osservanza esteriore a scapito della vita interiore, come osservanza dei precetti marginali a scapito della “giustizia e dell’amore di Dio” (Lc 11,42). “Guardatevi bene!”, ammonisce Gesù con forza. Monito – va ribadito – rivolto ai discepoli, a noi, al fariseo che è in noi, che è in me. 

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“Non abbiate paura!” (vv. 4.7): al monito fa seguito un’esortazione, reiterata, rivolta “a voi, miei amici” (v. 4), con una tonalità affettuosa che ricorda in qualche modo il quarto vangelo. È un invito al coraggio. Coraggio di proclamare con franchezza il messaggio di Gesù, sostenuti dalla certezza di essere nelle mani di Dio, un Dio a cui stanno a cuore anche i passeri, creature da “due soldi” (v. 6). Ed è soprattutto un invito alla fiducia, perché la paura – che in definitiva è sempre paura della morte, sotto le sue varie forme – ha il potere di paralizzare la vita. “Non abbiate paura” neppure di coloro che possono uccidervi ma non possono togliervi la vita. È la fiducia che già nel Salterio l’orante esprimeva a Dio, seppur tra le lacrime: “Nel giorno della paura metto la fiducia in te. In Dio di cui canto la parola, in Dio metto la fiducia e non temo: che cosa potrà farmi un mortale?” (Sal 56,4-5). Certo, nel discepolo sempre saranno compresenti paura e fede, e tutto il cammino di sequela vuole essere un instancabile esercitarsi alla fede/fiducia nel Signore per sottrarre terreno alla paura e dilatare gli spazi della vita. 

Non dobbiamo dimenticare che chi invita a non avere paura è Gesù che si sta incamminando con “ferma decisione” verso Gerusalemme (Lc 9,51), dove sa che lo attendono la passione e la croce. Verrà ucciso, ma non gli toglieranno la vita: egli la consegnerà liberamente nelle mani del Padre.

fratel Valerio


Fonte

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