Gesù è a uno dei tanti banchetti a cui è stato invitato. Egli ama la tavola perché ama gli incontri, ama quel momento di sosta che permette a ogni uomo e donna di entrare in relazione e cibarsi dell’unico cibo essenziale alla vita: l’amore. Gesù ha così accettato l’invito di un fariseo, non fa discriminazioni tra un invito e l’altro, non ha precomprensioni né pregiudizi perché è un uomo libero. Libero dalle persone come dalle convenzioni; per questo non ripete pratiche che ritiene vuote, ben consapevole della trasgressione che sta per compiere: non attenersi alle abluzioni prima del pasto! Dopo aver affrontato, nei versetti precedenti il nostro brano, il tema dell’interiorità e dell’esteriorità della fede, con la metafora della luce che traspare o meno dagli occhi, luce che viene dal cuore, dal di dentro della persona, e che permette di guarire da quella cecità che come un muro impedisce di cogliere la verità e la novità dei gesti come delle parole di Gesù, il narratore vuole approfondire e completare questo tema per fare un passo oltre.
Gesù non ha paura di mostrare e di svelare l’ipocrisia che sta dietro le osservanze rituali della tavola. Di più, Gesù è libero dalle conseguenze dell’esercizio stesso della sua libertà, non ha paura di pagarne il caro prezzo, come sottolinea l’evangelista Luca alla fine di questo stesso capitolo: “Quando fu uscito di là, gli scribi e farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo” (Lc 11,53-54). Con parole quasi dure e offensive, graffianti – come farà notare bene uno dei dottori della Legge: “Maestro, dicendo questo tu offendi anche noi” (Lc 11,45) -, parole simili a quelle dei profeti che lo avevano preceduto, Gesù porta alla luce l’inganno: “Voi pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e cattiveria” (v. 39).
È una denuncia contro ogni tipo di menzogna sottile e perversa di coloro che si nascondono dietro una falsa spiritualità, fatta di parole che non sgorgano da un cuore unificato e di atti che mascherano ciò che si è realmente; parole e atti che non hanno nulla a che fare con il Dio narrato da Gesù Cristo.
È la condanna di una falsa spiritualità che è solo attenta a ciò che appare, a un ritualismo di facciata, ai primi posti ai banchetti, ai saluti nelle piazze.
È la denuncia di chi pratica un formalismo religioso e rifiuta di essere e riconoscersi tra le file di quei peccatori e poveri che salgono al tempio. Gesù sostituisce ai precetti della purità le esigenze della comunione: “Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà integro” (v. 41). È un invito a passare dalla preoccupazione di un comportamento esteriore che serve solo a vantarsi della propria virtù sotto la Legge, a qualcosa di nuovo.
Gesù spiazza questi farisei, come spiazza ciascuno di noi, mettendoli di fronte alla loro inconsistenza di pratiche vuote e lontane da Dio. Condividere fraternità, misericordia, capacità di perdono, pazienza, giustizia, pace, che nascono da un lavoro interiore alimentato da una passione per l’evangelo e nient’altro: questo rende puri, cioè integri, non divisi, uomini e donne riconciliati con Dio e la comunità tutta.
sorella Antonella
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Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11, 37-41
In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».
Parola del Signore