Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 15 Novembre 2021

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Gesù sta andando a Gerusalemme e per tre volte cerca di aprire gli occhi dei discepoli all’intelligenza delle Scritture, annunciando loro ciò che là dovrà compiersi. Ma essi sono incapaci di comprendere le sue parole. Matteo e Marco sottolineano questa incapacità facendo seguire a questo annuncio la goffa richiesta dei figli di Zebedeo. Luca, dopo aver ripetuto che i discepoli “non compresero nulla” (v. 34), narra l’incontro con il cieco alle porte di Gerico. Quest’incontro fa da contraltare alla stoltezza dei discepoli: quest’uomo, infatti, pur cieco, appena sente parlare di Gesù lo riconosce e lo invoca quale salvatore.

 Il racconto nelle versioni parallele dei sinottici contiene sfumature diverse: Marco ci dice il suo nome e descrive in modo molto plastico la reazione alla chiamata di Gesù; Matteo ci parla di due ciechi. Ma il cuore del racconto è riportato quasi identico nei tre vangeli. L’uomo cieco sentendo passare la folla, non appena ode il nome di Gesù inizia a invocarlo: “Gesù figlio di David, abbi pietà di me” (v. 38). La folla cerca di farlo tacere, ma egli grida ancora più forte. 

Quest’uomo è un cieco mendicante, uno scarto della società, non appartiene alla folla in cammino dietro a Gesù, non appartiene alla città, è seduto lungo la via, come tanti uomini e donne che vivono ai margini della società, voci fuori dal coro che ogni qualvolta osano gridare il loro bisogno vengono zittite perché non fanno parte della folla.

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Paradossalmente questa folla acclamerà Gesù come Messia al suo ingresso a Gerusalemme, ma non tollera che qualcuno che non faccia parte del gruppo possa ugualmente riconoscere il Signore, soprattutto se è un reietto.

Potremmo chiederci quante volte come chiesa, come comunità di uomini e donne, che si dicono discepoli del Signore, allontaniamo o mettiamo a tacere quanti ai margini gridano il loro desiderio di relazione, di giustizia, di riconoscimento.

Zittito, egli grida ancora più forte, perché sa che Gesù lo ascolterà: questa è la fede che emerge dalle pagine del vangelo. Non dobbiamo avere paura di rivolgerci al Signore, di gridare con insistenza il nostro dolore, la nostra sofferenza, perché il Signore ascolta chi lo invoca, anche se non appartiene al gruppo dei suoi discepoli, anche se siamo tra coloro che sono rigettati e disprezzati da quanti si ritengono giusti, perché, al di là delle apparenze esteriori, il Signore conosce il desiderio profondo che abita il nostro cuore, spesso sconosciuto a noi stessi.

Quest’uomo può riconoscere il suo desiderio perché non possiede null’altro, è un mendicante che non ha nulla da difendere. Gesù lo ascolta e lo chiama a riconoscere ed esprimere il suo bisogno. Non impone la sua volontà come farebbero tanti mossi da uno spirito narcisistico più che dal bene dell’altro, pronti a radicare nel proprio io ogni relazione, con gli altri esseri umani, con il creato, con Dio. 

Chiamandolo a una relazione autentica, Gesù ci insegna a essere uomini e donne di ascolto, capaci di rendere l’altro libero nella relazione, nella sua alterità, libero e salvato, perché quest’uomo aiutato a riconoscere e verbalizzare la sua mancanza diviene discepolo che segue il Signore. L’ascolto della persona abbatte le barriere dell’emarginazione e del disprezzo, perché ogni essere umano ha il primato sui principi, sulle leggi, sui valori da difendere.

La comunione che nasce dall’ascolto rende autentica la lode di Dio nella comunità cristiana. Quest’uomo che gridava fuori dal coro, non gridava contro la comunità, egli cercava di ritrovare la comunione con essa sapendo che questa appartenenza ha come unico fondamento la relazione con il Signore Gesù.

fratel Nimal


Fonte

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