Il timore che scaccia il timore
“Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia”.
L’ipocrisia è la maschera che la paura ci porge per difenderci dagli altri, per farci sembrare altro da ciò che siamo. In questo senso, non stupisce che essa possa assumere segni diametralmente opposti a seconda del contesto: per i farisei si trattava di dissimulare la loro realtà di peccatori per presentarsi come dei modelli, dei super credenti; ai primi discepoli del Risorto, al contrario, la paura suggeriva di fingersi non credenti per evitare la persecuzione. I primi temono di mostrare la loro debolezza, i secondi la loro forza. In entrambi i casi, ciò che genera l’ipocrisia è la paura di mostrarsi per quel che si è.
Così, a noi, suoi amici, a cui la paura allunga ora l’una ora l’altra maschera, Gesù dice: “Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato”. In quanto persone in relazione, siamo fatti per svelarci, per donarci all’altro, senza illuderci di poter coprire la nostra nudità sotto una foglia di fico (cf. Gen 3,7). La tenebra che ci abita non svanisce coprendola con un velo d’impeccabilità, ma illuminandola. Ciò significa prima di tutto evitare per quanto possibile di dire e fare ciò che riusciremmo ad articolare e realizzare solo sotto il mantello complice del segreto; e in secondo luogo esporre le nostre opacità alla luce del volto di Dio (cf. Sal 90,8), fiduciosi che agli occhi della sua misericordia le tenebre siano come luce (cf. Sal 139,12).
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Se le nostre tenebre non possono restare celate, a maggior ragione la fiamma di bene che arde in noi non è fatta per essere nascosta sotto il moggio della tiepidezza (cf. Lc 11,33). Non c’è nessun buon proposito che non sia fatto per manifestarsi in azione. Non temete dunque, non lasciatevi inibire dal pensiero di ciò che gli altri diranno o faranno di voi! Non temete, scacciate il timore con il timore. Nell’attesa che sia l’amore a dissolvere ogni timore (cf. 1Gv 4,18), la paura degli uomini sia vinta dal timore di Dio.
A prima vista, le parole di Gesù sono sconcertanti: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo … temete colui che dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna”. Suonano come una spinta dal timore al terrore. Se non che il timore di Dio è di tutt’altro segno. Il timore degli uomini è soggezione di fronte a chi conta; il timore di Dio è inquietudine davanti a chi non conta nulla, agli scarti della società che ci domanderanno conto: perché quando vi chiedevamo aiuto dal nostro cantuccio maleodorante, dal fondo di un barcone o dalle rovine di una terra in guerra siete rimasti semplicemente a guardare e a commentare all’orecchio, come le folle che si calpestano a vicenda?
Il timore degli uomini è un castrante conformismo; il timore di Dio un invito ad osare sé stessi, nella lucida consapevolezza che di noi non resterà nulla se non ciò che abbiamo donato.
Il timore degli uomini ti suggerisce che vali per quel che fai; il timore di Dio ti invita a esprimere quel che sei. “Non abbiate paura dunque: valete più di molti passeri”; non temere, perché tu sei prezioso ai miei occhi e io ti amo (cf. Is 43,4).
fratel GianMarco
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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