Le folle chiedono un segno. La risposta di Gesù riprende la discussione con gli oppositori che gli chiedevano un segno dal cielo “per tentarlo” (v. 16). Ma l’unico segno che sarà dato loro è quello di Giona. Il passo parallelo di Matteo 12,40 spiega che si tratta di una figura della morte e della resurrezione del Figlio dell’uomo: “Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra”. Un segno del tutto non evidente, che deve essere letto con gli occhi della fede. Ma che cosa significa leggere con gli occhi della fede?
Di fronte all’arrogante richiesta di un’evidenza inconfutabile, che è in realtà un pretesto per screditare l’interlocutore, Gesù rimanda alla faticosa e paziente arte dell’ascolto. Gli abitanti di Ninive si sono convertiti dando ascolto alla predicazione di Giona; la regina del sud ha fatto un lungo viaggio per ascoltare la saggezza di Salomone. Gesù rimanda agli esempi della Scrittura. Anche la parola di Dio deve essere cercata con attenzione e amore nelle pieghe della Scrittura santa; non è mai un’imposizione e può veramente essere compresa solo se è liberamente obbedita, perché accolta con amore. Al contrario, la costrizione dell’evidenza, la necessità dell’ultimatum, rientrano nella logica del potere, della coercizione, dell’obbedienza senza libertà a una strategia di dominio.
Le folle che chiedono un segno, in effetti, non sono disposte alla fatica della libertà.
Per questo restano cieche.
Il segno si manifesta solo per coloro i quali hanno un “occhio luminoso”.
Il detto sulla lucerna era già stato citato da Luca in un contesto analogo, ma con un’applicazione ecclesiologica (cf. Lc 8,16). Qui la lucerna è invece l’occhio umano (secondo la credenza degli antichi, che attribuiva all’occhio la capacità di illuminare). Dall’atteggiamento di chi guarda le persone e le cose dipende anche il modo di comprenderle. L’occhio “semplice” (v. 34), cioè integro, senza dissimulazione, vede la bontà della realtà nella sua integrità, nella sua corrispondenza al piano divino; l’occhio “cattivo”, ripiegato su di sé, vede il particolare disarticolato dal tutto, scruta la pagliuzza per ritorcerla contro il prossimo. L’occhio con il quale guardiamo il mondo esterno rivela il nostro essere interiore: a occhio integro corrisponde un essere umano luminoso, a occhio cattivo invece un essere tenebroso, cioè incompleto, meschino, invidioso, pieno di rancore.
L’essere luminoso è invece la persona che non tiene conto del torto subito, non invidia, non è dominata dall’ira verso il fratello o la sorella, non guarda gli altri dall’alto in basso, ma sa superare le incomprensioni e le diffidenze con magnanimità e generosità: è la persona integra, semplice e trasparente, che riverbera sugli altri, sulle situazioni e sui problemi che affronta l’incondizionata fiducia con cui affida anche se stessa all’infinita benevolenza di Dio.
Per questo, se l’occhio ― il nostro modo di cogliere la realtà e aderire al mondo ― è luminoso, tutto il nostro essere sarà luminoso e illuminerà attorno a noi ogni cosa, ogni relazione, ogni gesto e parola, fino a riconoscere il Cristo nel volto dell’Altro.
fratel Adalberto
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A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona.