Che vi amiate
Oggi la liturgia ci invita a fare memoria dell’apostolo Mattia, associato agli undici apostoli, scelto dallo Spirito santo “per prendere il posto in questo ministero e apostolato, che Giuda ha abbandonato” (At 1,25), scelto tra i “testimoni” della Resurrezione del Signore Gesù, scelto per “rimanere nel suo amore”.
Il Quarto Vangelo ci fa sostare su questo amore che dal Padre si trasmette al Figlio e dal Figlio si propaga a noi, a ciascuno di noi e a noi insieme. Un amore nel quale siamo invitati a rimanere, a trovare dimora. A trovarci a casa.
E non siamo solo invitati: il Signore ci “comanda” questo amore, unico comandamento, comandamento “nuovo” lasciatoci da colui che lava i piedi ai suoi discepoli (cf. Gv 13), che dona la vita per i suoi amici, per quanti il Padre gli ha dato. Il Signore ci chiama a legami di libertà, di libertà amante, non di schiavitù, di sottomissione, di ignoranza, di non condivisione.
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Questo amore altro non è che essere nella gioia, quella gioia di Dio presente in noi, quella gioia che viene dal Signore, che niente e nessuno potrà rapirci, quella gioia che è chiamata a dilatarsi in noi, ad essere pienezza in noi, a espandersi con noi. La chiamata alla gioia è il fine delle parole del Signore Gesù. Una gioia che è speranza, anche contro ogni speranza.
È il Signore che sceglie ciascuno di noi, come un dono inatteso, immeritato, spesso con modi e tempi altri rispetto alle nostre attese. Aveva invitato a “rimanere”, ora chiede di “andare”, sì, di “andare e portare frutto”. Ma un frutto che “rimane”. Forse è proprio nella dinamica del suo amore che questo è possibile: rimanendo custoditi nel suo amore possiamo imparare a custodirci gli uni gli altri, facendo così fruttificare il suo amore. È questo amore la cosa essenziale da chiedere al Padre. È questo amore reciproco la cosa essenziale che il Figlio chiede a noi, comanda a noi: “che vi amiate gli uni gli altri”, come lui ci ha amati.
Chi è amato e ama è nella gioia. Chi si lascia amare e diventa così capace di amare può vivere di quella gioia che Dio ci dona incondizionatamente, senza motivo, senza necessità di meriti.
E così siamo chiamati ad amarci con quello “zelo buono” di cui parla anche la Regola di Benedetto, che si riferisce ai monaci, ma da cui forse ciascuno può trarre incoraggiamento, ispirazione, consolazione. “Si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore; sopportino con grande pazienza le loro debolezze, fisiche e morali; facciano a gara nell’obbedirsi a vicenda; nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello dell’altro” (RB 72).
“Carissimi, – leggiamo infine nella Prima Lettera di Giovanni – amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore […]. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1Gv 4, 7-8.10-12).
sorella Silvia
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