In Marco la prima parola pronunciata da Gesù è: “il tempo è compiuto, il regno di Dio si è avvicinato, convertitevi e credete all’Evangelo!” (Mc 1,15). Risuona quindi fin dall’inizio l’invito a credere. Ma cos’è credere? Nel testo odierno il lettore di Marco incontra per la prima volta un atteggiamento che Gesù chiama “fede”. Non è una confessione di fede paragonabile al credo che recitiamo, ma è l’espressione di una fede che fa miracoli!
Poiché non riescono a far entrare l’amico paralizzato per la porta della casa, ingombrata dalla folla, i quattro portatori decidono di calarlo dal tetto ai piedi di Gesù: ecco ciò che Gesù “vede” e chiama “fede”.
Chiediamoci allora: di chi è questa fede? Certamente dei portatori che non esitano a scavalcare ogni ostacolo, pur di portare il loro amico da Gesù. Ma è anche dell’infermo; al suo posto avremmo forse detto: “Vedete che non ce la facciamo, lasciate perdere… Se Dio vorrà, ci sarà un’altra occasione”. Invece no, si lascia fare. È dunque la fede dei cinque, ma quale fede? Questa loro testardaggine nel fare qualsiasi cosa pur di arrivare a Gesù è certo l’espressione di una grande fiducia nella sua capacità di guarire il paralitico. Probabilmente non vedono in lui il Figlio di Dio, ma il guaritore, quasi lo stregone. È forse questa la loro fede, o non piuttosto quell’amicizia reciproca, quella solidarietà fuori dal comune che anima i protagonisti di questo episodio? Fede non è solo credere in Dio, è anche far fiducia al fratello o alla sorella, confidare in ciò che di umano sta nell’altro, chiunque egli sia, essere fedeli gli uni agli altri.
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Quando legge dell’arrivo dell’infermo davanti a Gesù, il lettore sa già che sarà guarito. Ma ignora come ciò si realizzerà. Ora avviene in modo sorprendente. Vedendo la loro fede, Gesù dichiara al paralitico: “Figlio, i tuoi peccati sono perdonati”. Che rapporto c’è tra quella paralisi e i peccati? Una cosa almeno sappiamo: la paralisi non è la conseguenza dei peccati dell’infermo, perché, dopo la proclamazione del perdono (annuncio efficace, come attesta il seguito del racconto), l’uomo rimane paralizzato; viene guarito solo in un secondo tempo. Anche perdonato, e dunque senza più peccati, resta inchiodato alla sua barella. Allora, quale rapporto? Forse possiamo esprimerlo così: la paralisi e le malattie non c’informano sui peccati del malato, sono invece espressioni della situazione di peccato in cui vive il mondo. In un certo senso, ogni malato mi rimanda al mio proprio peccato. Forse per questo è così difficile la visita ai malati.
Il dibattito per sapere se Gesù possa rimettere i peccati – che la guarigione conferma – mostra che Gesù guarda la realtà diversamente dagli scribi: essi vedono i permessi e i divieti; lui vede ciò che brucia nei cuori. Come ha conosciuto i pensieri dei legalisti, ha visto l’amore che unisce il paralizzato e i suoi amici, la “loro fede”, e da ciò ha capito che avevano già sperimentato l’amore di Dio, che è il perdono e la salvezza che annuncia.
fratel Daniel
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