Oggi facciamo memoria di Cirillo e Metodio, gli apostoli dei popoli slavi. Il nome di Cirillo è rimasto in quello dell’alfabeto “cirillico”, nonostante esso sia in realtà un adattamento dell’alfabeto creato da Cirillo, quello glagolitico. Ma non è questo l’aspetto più importante dell’opera di questi due fratelli, nativi di Tessalonica, che vissero nel IX secolo; ne è solo una conseguenza.
Fin dall’infanzia Cirillo – che si chiamava Costantino – si appassionò per il mondo slavo che confinava con la sua terra e ne imparò la lingua. Perciò quando il re (slavo) della Moravia chiese all’imperatore di mandare nella sua terra qualcuno che sapesse spiegare gli elementi fondamentali della fede cristiana nella loro lingua, l’imperatore Michele III pensò a Cirillo (con il quale, da ragazzo, aveva studiato a Costantinopoli) e a suo fratello, Metodio.
Ambedue erano convinti che per aderire pienamente alla fede cristiana fosse necessario sentirla esposta nella propria lingua materna; perciò, dopo aver inventato un alfabeto che permettesse di esprimere i suoni slavi, tradussero la Scrittura, iniziando dal Prologo del Vangelo secondo Giovanni, vangelo che, nelle chiese slave, è proclamato il giorno di Pasqua in varie lingue.
Si scontrarono con cristiani occidentali già presenti in quelle terre, i quali ritenevano che i misteri cristiani potevano essere espressi solo nelle tre lingue “bibliche”: l’ebraico, il greco e il latino. Fu uno dei tanti scontri che afflissero la chiesa di Cristo, nel quale però i due fratelli ricevettero il sostegno del papa. In un certo modo, fu l’anticipazione profetica di ciò che oggi chiamiamo “inculturazione”, operazione che continua a suscitare difficoltà e perplessità nelle chiese attuali.
Ma al di là della questione linguistica, un’altra preoccupazione agitava i due fratelli: la progressiva estraniazione che allontanava man mano la chiesa bizantina d’oriente da quella latina d’occidente. I popoli slavi, situati tra le due parti dell’impero, avrebbero potuto fare da ponte e rinsaldare così l’unità della chiesa di Cristo.
Questo il contesto liturgico in cui leggiamo l’invio dei settantadue nel Vangelo secondo Luca. Ciò che allora va sottolineato è la grande povertà dei mezzi impiegati rispetto all’immensità del compito: sono mandati a due a due, per attestare con il loro amore fraterno la verità di ciò che predicano, come agnelli in mezzo a lupi, senza nulla, né cibo, né denaro – nemmeno sandali, eppure calpesteranno serpenti e scorpioni! (cf. Lc 10,19) –.
La loro forza sta solo nel loro messaggio di pace accompagnato da gesti di cura e di guarigione. Proprio in questa debolezza di cui sono portatori, il regno di Dio raggiunge le popolazioni che incontrano, perché essa è lo specchio di ciò che, da secoli, chiamiamo l’“onnipotenza” di Dio: non già la facoltà di Dio di fare qualsiasi cosa perché nulla gli può resistere, bensì l’affermazione che, a causa del suo amore senza confini, manifestato sulla croce, tutto diventa possibile.
fratel Daniel
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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10, 1-9
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».
Parola del Signore