Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 12 Febbraio 2021

Gesù è sempre in cammino, ora in territorio pagano. “Vi era di nuovo molta folla”: la sua persona affascina, tanto che persino la preoccupazione di mangiare sembra non trattenere dal seguirlo.

Al cuore della prima parte c’è un uomo sordomuto, o meglio un uomo “sordo e malparlante”. Non è lui a recarsi da Gesù, quasi che questa sua mancanza comunicativa lo privi di qualsiasi espressione. Sono altri a condurlo, non sappiamo chi. Quel che sappiamo però è che sono persone che cercano la vicinanza di Gesù, che intuiscono capace di ridare pienezza al vivere umano. Sappiamo che sono mosse dal desiderio che Gesù imponga su quell’uomo la sua mano (anche nella guarigione dell’epilettico si evoca la mano di Gesù, il quale “lo prese per mano”, Mc 9,27; e della guarigione della suocera di Pietro leggiamo che viene guarita dal momento che “la fece alzare prendendola per mano”, Mc 1,31). 

Gesù allora “lo prende in disparte”: si allontana da quella folla per la quale sarà mosso da compassione poco dopo. Gesù incontra uno ad uno, e incontra tutti, riconoscendo quel che a ciascuno manca in profondità perché la vita si “apra”.

Nel tempo sospeso che stiamo vivendo, impauriti e smarriti per i rischi di contagi, impressiona ancora di più il contatto che Gesù ha con quest’uomo. È attraverso il tocco delle orecchie e della bocca di quell’uomo, seguiti dal sospiro orante e dalla parola ferma ed efficace di Gesù, che l’uomo è liberato dalla chiusura degli orecchi, e quindi della bocca. È perché non udiva che non riusciva a parlare “correttamente”. È dall’ascolto che ciascuno di noi diviene capace di parlare, di esserci. L’ascolto di Dio (“Ascolta, Israele!”), l’Altro così vicino a ciascuno di noi, che spesso ci viene incontro in chi abbiamo accanto, può liberare dall’autoinganno di bastare a se stessi.

Gesù chiede che non si racconti ad altri di quest’uomo, eppure la sua richiesta è disattesa. Prevale lo stupore per questi segni (cf. Is 35): viene riconosciuto che Gesù “ha fatto bene ogni cosa”, e questo bene trasforma e salva riportando l’uomo alla sua piena capacità di essere in relazione, di stare in dialogo.

Il secondo racconto si apre con l’immagine di “molta folla che non aveva da mangiare”, gente venuta da lontano. Ora nel deserto. Le bocche della folla non sono “chiuse” ma rischiano di restare asciutte,vuote, prive di vita. 

Ora è Gesù stesso, come un pastore (cf. Mc 7,34), ad accorgersi della mancanza di chi lo ascolta e lo segue. Chiama a condividere quel che c’è, a distribuirlo perché ciascuno ne abbia a sufficienza. Gesù rende grazie per quel poco pane e per quei pochi pesci. Poi invia i suoi a farsi prossimi alla folla: così la folla può assumere un volto, vari volti, ciascuno incontrato dal pane e dalla Parola. Tutti mangiano a sazietà. E non manca la sovrabbondanza.

A questo punto, solo a questo punto, l’evangelista può annotare che “Gesù li congedò”. Ciascuno e tutti possono fare ritorno risanati, ristorati e rinfrancati dall’incontro con una parola di vita. 

Anche noi.

sorella Silvia


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