Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 11 Settembre 2021

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Ad una prima impressione l’esempio del brano di oggi che Gesù descrive può sembrare più un dato di fatto: da un albero buono non può nascere un frutto cattivo e da un albero cattivo uno buono. Sembra essere una strada senza uscita, che non ci sia nulla da fare; eppure quello che Gesù vuole esprimere è un lavoro interiore di unificazione tra quello che si è e quello che si fa.

In un primo momento si può sentire questo esempio come discriminante. Una pianta non sceglie di essere rovo o di essere fico, come non esistono piante buone o cattive, forse ci saranno piante più o meno utili all’uomo. Ma quello a cui Gesù richiama è una coerenza che l’uomo deve coltivare in se stesso. Se si nutrirà di quella Parola che viene dal Signore e ne farà la sua linfa, allora anche i frutti che ne matureranno saranno il segno di quell’alimento costante e giornaliero, come l’acqua di cui una pianta ha bisogno.

La Parola ascoltata va metabolizzata, fatta penetrare nei tessuti perché essi possano generare quel frutto che rivela la qualità della pianta. Non è un processo che avviene dall’oggi al domani, ma occorre del tempo, della costanza e della fiducia che tutto vada a buon fine e quando ci sono delle condizioni avverse occorre insistere nel cercare quel nutrimento che può dare stabilità e forza anche in quei momenti.

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La metafora di Gesù prosegue dicendo che se per le piante è il frutto che rivela la loro natura, per l’uomo ciò che rivela il suo cuore è la parola. La coerenza di cui si parlava prima è veicolata dalla parola. Ci deve essere una fluidità tra quello che ci nutre e quello che ci mette in relazione con gli altri, tra quello che proviamo nel profondo del nostro cuore e come lo esprimiamo ai fratelli e alle sorelle: attraverso una relazione semplice e sincera o attraverso la violenza, la menzogna o anche l’indifferenza quando la linfa che avremo assunto come nutrimento non sarà stata la Parola. 

Il brano prosegue con altre due scene differenti rispetto all’immagine della pianta. Nella prima Gesù riprende chi lo invoca senza mettere in pratica la sua Parola. Dunque è ancora una questione di unità tra quello che si dice e quello che si fa. Gesù denuncia quell’atteggiamento che è soltanto esteriore e che non si fonda su una base solida, destinato a svanire in poco tempo, proprio come propone nell’ultima immagine, là dove parla della casa sulla roccia.

Anche se la metafora è del tutto diversa dalla prima (siamo nel campo dell’edilizia), tuttavia anche in questo caso si tratta di capire come fare perché la Parola entri in noi e raggiunga il profondo del nostro cuore e sia il nostro fondamento per darci stabilità. Allora anche la nostra resistenza a eventi avversi sarà il frutto prodotto dalla scelta del luogo dove porre le fondamenta della nostra casa, ovvero quella Parola di Dio ascoltata, fatta penetrare in noi e messa in pratica. 

sorella Beatrice


Fonte

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