Nel capitolo sesto Luca riporta il cosiddetto discorso della pianura contenente le beatitudini e alcuni insegnamenti particolarmente cari al terzo evangelista come l’amore per i nemici, la misericordia, la necessità che la prassi segua sempre l’ascolto della parola. Nel mezzo vi è una breve parabola e un insegnamento sulla correzione fraterna, che pongono l’accento sul vedere, interrogandoci sulla qualità del nostro occhio e sulla modalità con cui guardiamo noi stessi e i fratelli.
La guarigione dei ciechi è uno dei segni che accompagnano la venuta del Messia (cf. Is 35,5). Gesù proclama il compimento della profezia nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,18) e lo fa annunciare a Giovanni Battista (cf. Lc 7,22).
Siamo invitati a interrogarci sulla nostra capacità effettiva di vedere o meglio a prendere coscienza della nostra cecità da cui possiamo guarire solo nell’incontro con il Signore. Ciechi e guide di ciechi sono i farisei (cf. Mt 15,14) incapaci di riconoscere, nell’opera del rabbi Gesù di Nazaret, il disegno di Dio che vuole ricondurre l’uomo all’originaria bontà e bellezza della creazione.
Prima di farci guide dei fratelli dobbiamo essere discepoli del Signore con la piena consapevolezza di ciò che questo comporta. Un discepolo non è più del maestro, questo detto, insieme al detto “un servo non è più grande del suo padrone”, è riportato nel Vangelo secondo Matteo e nel quarto vangelo per indicare la necessità che il discepolo venga perseguitato a causa del Signore (cf. Gv 15,20), ma come discepoli ben preparati siamo chiamati ad affrontare ogni genere di persecuzioni custodendo sempre la misericordia e l’amore per i nemici e per chi ci odia. Gesù il Signore e Maestro ha lavato i piedi dei suoi discepoli esortandoli a fare lo stesso (cf. Gv 13,16). Spesso pensiamo che essere discepoli del Signore Gesù ci autorizzi quasi automaticamente a farci guide per i fratelli, ma il vangelo ci ricorda con forza che il discepolato comporta anzitutto andare incontro a odio e persecuzioni custodendo l’amore fino alla fine, comporta il farci servi gli uni degli altri, svuotando noi stessi di ogni presunzione di grandezza per abbassarci fino a lavare i piedi dei nostri fratelli in umanità. In questo abbassamento arriveremo a vedere la miseria che ci abita, il peccato che ci ferisce, e, dopo aver accettato che Gesù stesso si chini a lavare i nostri piedi, il nostro occhio sarà limpido per guardare nella misericordia la povertà e la miseria del fratello. Essere guide degli altri non è questione di insegnamenti e parole, ma prassi di conversione a partire dal gesto che Gesù compie quotidianamente nelle nostre vite chinandosi a lavare i nostri piedi stanchi e feriti.
Spesso viene citato il detto della trave nell’occhio quasi a voler significare che mai debba essere fatta la correzione fraterna. Gesù non dice di non togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello, ma di farlo solo dopo aver tolto la trave dal nostro occhio per vederci bene. Ogni correzione nella comunità cristiana deve nascere non dal desiderio di umiliare l’altro o di primeggiare su di lui, ma dalla necessità di farlo partecipe di quella stessa misericordia cha ha toccato le nostre vite. Solo il desiderio di comunione profonda deve guidare il nostro parlare e agire comunitario, anche e soprattutto quando si tratta di non tacere davanti al peccato, al male che minaccia la comunità. Un occhio reso limpido dalla luce dell’amore di Dio può essere esso stesso fonte di luce che illumina la verità del fratello amato e perdonato da Dio al di là del suo peccato piccolo o grande che sia.
Ogni correzione può divenire atto di comunione perché ogni giorno rinnovando la relazione possiamo insieme ricominciare a camminare dietro al Signore. È il difficile cammino della vita comunitaria, ma ogni giorno possiamo e dobbiamo ricominciarlo insieme se vogliamo che la nostra casa sia edificata sulla roccia che è Cristo.
fratel Nimal
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