Il dono del futuro
Gesù, lasciata la sinagoga, entra in casa e guarisce la suocera di Simone. La stessa sera tutta la città si riunisce davanti alla porta.
Tutti sono lì, tutti si riconoscono in qualche modo bisognosi. Tutti sperano che Gesù li guarisca. Un “tutti” che dice anche l’enorme sofferenza che travaglia l’umanità (Rm 8,22: “tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto fino a oggi”)…
La presenza di Gesù sembra poter porre fine a tanta sofferenza. Tutti, quindi, accorrono, sostenuti da questa speranza. E possiamo chiederci: non è legittimo il loro desiderio? Chi è malato o oppresso dal male non ha diritto di sperare un futuro davanti a sé? Certo, può e deve farlo; e questa umanità sofferente è infatti oggetto della cura amorevole del Signore; egli non vi si sottrae affatto.
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Tuttavia Marco ci mette in guardia da un possibile fraintendimento, quello che qui è ancora in germe, ma che porterà alla progressiva frattura tra Gesù e la gente: tutti vanno da lui perché lo hanno visto guarire, non per quello che annuncia, non per la buona notizia che incarna. Agli occhi della gente la Parola che Gesù va predicando (Mc 1,14) non è abbastanza forte, molto più forte appare loro la salvezza tangibile di una guarigione umanamente impossibile.
Non hanno colto che Gesù, senza negar loro questa guarigione, vuol portarli alla salvezza profonda che solo il Vangelo può donare; certo, nel modo di Dio, non nel loro. Gesù vuol donare loro futuro, ma quel futuro che egli incarna con la sua Parola. Quel futuro che è vita per l’eternità, il vero desiderio profondo dell’uomo, di cui la guarigione è segno e caparra, non già realizzazione definitiva.
Ogni carne è come l’erba, lo sappiamo bene, lo sperimentiamo e ci è continuamente ricordato anche dalla Parola di Dio (cf. Is 40,6); la malattia, fisica o psichica, ci mette di fronte impietosamente questa fragilità. La malattia è male, e come tale è combattuta e mai giustificata da Gesù; ma egli ci ricorda anche che la caducità, il limite, la mortalità non sono l’ultima parola: l’amore, la vita per sempre, questa è l’ultima, definitiva Parola di Dio.
La mattina dopo si consuma la prima esperienza, per i discepoli, di distanza radicale da Gesù: essi accondiscendono al desiderio ambiguo della folla che cerca Gesù il taumaturgo e vorrebbero che egli facesse altrettanto prestandosi al successo che ha ottenuto; ma Gesù non può seguirli su questa strada: egli cerca chi lo ascolti, non chi lo osanni; è quanto emerge per lui chiaramente nella preghiera in quel luogo deserto. Lì, nell’assiduità con Dio, in quel deserto che rievoca quello delle tentazioni (cf. Mc 1,12-13) si manifesta la libertà sovrana di Gesù: lì riconosce e vince la tentazione del successo e può rimettersi quindi in cammino: “andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là” (Mc 1,39). Non “guarisca”, ma “predichi”: per lui il primato è dato all’annuncio, anche se le guarigioni lo accompagneranno.
Gli costerà cara questa scelta; egli sarà a poco a poco rifiutato: le stesse folle che qui lo cercano (cf. Mc 6,56), ne chiederanno presto la morte: “Crocifiggilo!” (cf. Mc 15,11-14).
E questo rifiuto è possibilità reale anche per noi…
sorella AnnaChiara
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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