Briciole di pane, piccole, insignificanti, come quelle che distrattamente facciamo cadere dalla tavola. Eppure, sembra suggerire il testo, in queste briciole è racchiusa una possibilità di vita. Lo notiamo nella stagione invernale quando lasciamo sui davanzali delle finestre briciole di pane per gli uccelli in cerca di cibo per sfamarsi; qui Gesù prende come esempio i cagnolini che impazientemente attendono che qualcosa cada dalla mensa dei loro padroni. Una realtà di poco conto a volte dischiude potenzialità inimmaginabili: “Se avrete fede pari a un granello di senape direte a questo monte: ‘Spostati da qui a lì’ ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” (Mt 17,20).
Nel brano evangelico odierno una madre disperata per la malattia della figlia si mette alla ricerca di Gesù; ne ha sentito parlare e, saputo che si trovava nella sua regione, accorre da lui per implorare il suo aiuto. Oltre al fatto di essere “donna” e quindi, per la cultura del tempo, non meritevole di considerazione, era anche una “straniera” sul piano religioso e geografico. Questi elementi aiutano a comprendere la risposta di Gesù, che ci lascia perplessi perché inizialmente non prende a cuore la sua richiesta: “Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (v. 27), espressione, quest’ultima, che i Giudei riservavano ai pagani in senso offensivo. Nella versione parallela di Matteo, Gesù esplicita ulteriormente affermando che non è stato mandato “se non alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15,24).
La donna non si arrende e si apre una breccia nelle parole stesse che Gesù le aveva rivolto: “Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli” (v. 28); confida in Dio che “sazia con bontà ogni vivente” (Sal 145,16). La sua è una fede sostenuta dalla sofferenza, che pone domande essenziali e diviene grido di invocazione capace di infrangere steccati. Questa fede spinge all’impossibile, osa domandare di nuovo. A volte ci vuole coraggio per farlo, ma è solo all’interno di un rapporto di fiducia che è possibile chiedere qualsiasi cosa.
La fede semplice e testarda di questa donna porta Gesù a mutare giudizio: lui che, pienamente inserito nella tradizione storica e religiosa del suo popolo, era probabilmente persuaso che l’annuncio e il dono del Regno dovessero avere come primo destinatario il popolo di Israele, è condotto da lei a spingere più in là i confini della propria missione per abbracciare tutta l’umanità assetata di guarigione e di vita.
“Per questa tua parola” (v. 29). È un’espressione che può stupirci, se pensiamo che in altri racconti del vangelo sono gli interlocutori di Gesù a fare affidamento alla sua “parola”, capace di nutrire la vita come il pane: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,4); e ancora Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,67).
Ci vuole umiltà per accogliere l’insegnamento offertoci dagli altri, in particolare da chi percepiamo distante da noi, e riconoscere l’appello che ci viene rivolto: ogni supplica è una parola del Signore che ci dispone a discernere la via che porta alla fraternità.
fratel Salvatore
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