Non è un caso che questo episodio del Vangelo di Marco in cui avviene una discussione tra i farisei e gli scribi con Gesù sia posto tra le due moltiplicazioni dei pani. Anche qui si parla di cibo e di tradizioni su come assumerlo, ma al di là di queste prescrizioni, che in origine dovevano avere un significato, è importante soffermarci sull’atteggiamento degli scribi e dei farisei. Essi, nel loro porsi all’esterno come giudici, non partecipano a quella dinamica di fare eucaristia, di rendere grazie che ha contrassegnato l’agire di Gesù e che contrassegna quel regno di Dio che il Signore ha annunciato condividendo la condizione umana.
Non ci viene narrato nei particolari cosa stiano facendo i discepoli: certo stanno mangiando; dall’accusa dei farisei e degli scribi si capisce che sono in più di uno e che, molto probabilmente, stanno condividendo il pasto. Il pasto è il momento in cui spesso abbiamo visto l’agire di Gesù nel donare la salvezza a chi, riconoscendosi peccatore, ha invitato il Signore alla sua mensa o lo ha accolto perché il Signore stesso ha chiesto di condividere il pasto con lui (cf. Mc 2,15; Mc 14,3). Il momento del pasto è uno dei luoghi in cui Gesù ha compiuto dei gesti e dei segni che hanno narrato la salvezza che è venuto a portarci; è infine il luogo, nell’ultima cena, in cui ha profetizzato il suo donarsi fino alla morte.
Se dell’agire dei discepoli il testo non ci ha dato molti particolari, invece la scena ci descrive chiaramente che cosa abbiano fatto gli scribi e i farisei: sono giunti da Gerusalemme per riunirsi e osservare. Dunque è una riunione tra loro, il cui unico motivo che li raduna è quello di giudicare. Il pretesto sta nel “richiamare all’ordine” Gesù e i suoi discepoli a partire dalla trasgressione delle tradizioni degli antichi. Ma l’intento principale è quello di difendere una loro identità che nasce e muore dietro a queste leggi, per loro fonte di potere e di controllo sugli altri e segno di divisione tra chi è come loro e chi non lo è. Facendo così, non solo restano prigionieri di loro stessi e non capiscono la ricchezza che viene da un pasto condiviso – segno di una vita in comunione con gli uomini e con Dio – ma allontanano anche Dio, loro che invece si dichiarano i tutori del culto a Dio. E’ evidente come essi scelgano di rimanere in superficie, ancorandosi e difendendo il già noto.
Gesù, scegliendo di compiere i suoi gesti più significativi durante la condivisione del pasto, non vuole eliminare le consuetudini e le leggi in vigore fino ad allora, ma le ricolloca a partire dalla loro funzione come facilitazione per l’incontro con i fratelli e le sorelle e con Dio, e non come ostacolo a questo. Quelle mani pure, che scribi e farisei ritengono essere necessarie per assumere il cibo, legano il cuore a un culto idolatrico delle leggi stesse e non permettono di incontrare il prossimo là dove egli ha più bisogno. Si omette addirittura di andare in soccorso dei propri genitori pur di salvaguardare la legge. La tradizione degli uomini permette che, in nome del comandamento, venga meno la relazione di solidarietà tra le persone, mentre essa era primaria nell’azione di Dio.
Alla fine è una mancanza di obbedienza alla novità della parola di Dio che ci spinge a lasciare la sterilità dei nostri schemi per partecipare, nel rendimento di grazie e con gratuità, all’incontro con gli altri nei momenti più quotidiani della nostra vita.
sorella Beatrice
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