«Poté di più colei che amò di più»
Oggi facciamo memoria della monaca Scolastica, che la tradizione ci presenta come sorella di san Benedetto.
Gregorio Magno narra di come lei in uno degli incontri annuali con Benedetto, sentendo vicina la morte, avesse espresso il desiderio di potersi trattenere con lui. “La monaca, udite le parole di rifiuto del fratello, posò sulla tavola le mani con le dita intrecciate e chinò su di esse il capo per pregare il Signore onnipotente … Allora l’uomo di Dio, vedendo che in mezzo a tali lampi, tuoni e scrosci d’acqua non poteva ritornare al monastero, cominciò a lamentarsi rattristato, e le disse: «Dio onnipotente ti perdoni, sorella! Che cosa hai fatto?». Quella rispose: «Vedi, io ti ho pregato, e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il mio Signore ed egli mi ha ascoltato» … dunque, poté di più colei che amò di più”.
In questa memoria riascoltiamo il cosiddetto “racconto di Marta e Maria”: dare un titolo non è mai senza conseguenze, tanto più se rischia di rimandarci alla secolare contrapposizione tra la “vita attiva” e la “vita contemplativa”, considerata superiore. Tuttavia nella vita le scelte non si riducono agli estremi di un fare senza cuore, ovvero un attivismo senza l’altro, oppure a una contemplazione disincarnata, ovvero una mistica evanescente e sfuggente.
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Può essere decisivo cercare di tenere insieme le due sorelle, come riflessi di presenze attanagliate in ciascuno di noi. In me c’è sia Marta sia Maria, non l’una senza l’altra. Marta e sua sorella Maria sono entrambe mosse dalla venuta del Signore, unificate da lui e in lui. Per entrambe la vera urgenza è la presenza del Signore che visita, del maestro che parla.
“Una cosa è necessaria!”. Gesù qui non offre un insegnamento ma mostra uno “stare con”, una scelta, libera e determinata, in favore di un orizzonte che nessuno può portare via.
Gesù indica, letteralmente, la “parte buona”. È semplicemente, nitidamente la “parte buona” cui il racconto fa pervenire, a cui chiede di convergere nel nostro guardare a Maria,discepola adorante talmente attratta dalla parola del Signore da divenire segno ardente anche per Marta. Maria ci era stata presentata come sorella di Marta, dunque non possiamo pensarla slegata da quella relazione, come lei stessa non può pensarsi altrimenti.
Maria diventa segno del primato dell’ascolto e insieme della necessità che azione e contemplazione convergano nella sequela. Non un fare un po’ e un po’ (quasi un ora et labora a compartimenti stagni), ma un essere protesi a una compenetrazione di queste due dimensioni che ci abitano, chiamate a fare unità in noi stessi.
L’unificazione interiore nasce dall’ascolto della Parola del Signore e può divenire il nostro modo di stare, di “stare con”. La priorità è il convergere al Signore, il resto (tutto il resto) è relativo: è comunque un mezzo.
Chiediamo allora al Signore di aiutarci a far dialogare in noi Marta e Maria, affinché possiamo tendere all’unità, a quell’unificazione nello stare con il Signore e nel servire i vicini e i lontani, non nonostante tutto ma attraverso tutto.
sorella Silvia
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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