Monastero di Bose – Commento al Vangelo del 26 Dicembre 2018

Non è un caso che il giorno dopo la celebrazione del Natale la liturgia ci inviti a fare memoria del martire Stefano. Questa scelta sottolinea lo stretto legame tra incarnazione e martirio: come il Signore, il giusto in un mondo di ingiustizia, è stato perseguitato e messo a morte, così è la sorte del suo discepolo.

Stefano apparteneva alla prima comunità cristiana di Gerusalemme: accusato di avere un atteggiamento sovversivo nei confronti della Legge e del tempio lasciò che i suoi accusatori lo uccidessero senza opporre violenza a violenza. Egli ci mostra che essere cristiani significa sapere di percorrere questa via, perché l’avversione è il caro prezzo della fedeltà nella sequela di Cristo. Nella sua vita Gesù è stato intimamente solitario. Nessuno gli è stato accanto realmente. Nessuno ha condiviso i suoi pensieri e nessuno lo ha aiutato nella sua opera. No, ma Gesù ha radunato e attratto attorno a sé quanti volevano appartenergli più da vicino. E ancora dopo la sua morte uomini e donne continuano a mettersi in cammino dietro al Signore per vivere l’Evangelo e nient’altro: “Chi avrà perduto la sua vita a causa mia la troverà” (Mt 10,39). Il destino e la grandezza di ogni discepolo è racchiuso in queste parole. Quando leggiamo l’Evangelo abbiamo l’impressione che coloro che seguono Gesù non riescano a comprendere fino in fondo. Ricorrono continuamente situazioni che ci mostrano come il Maestro si trovasse solitario tra loro.

Il discepolo non si distingue per le sue capacità, ma per il fatto che Gesù lo ha semplicemente scelto, chiamato e inviato per portare frutto. Inviato in quanto non parla da se stesso, non parla in ragione di conoscenza ed esperienza propria, ma della Parola e del mandato di un altro, il Signore. Il Signore è il contenuto della sua vita e questo legame con Cristo provoca avversione e violenza: dall’essere consegnati ai potenti del momento fino all’odio da parte dei membri della propria famiglia, da parte delle persone più care. Questa parola è inquietante per ciascuno di noi, ci spaventa e ci fa vacillare. Non sappiamo fino a che punto la nostra sequela troverà ostacoli in vita, non siamo noi a deciderlo, non possiamo calcolarlo né prevederlo, dobbiamo solo essere pronti. Anche per questo dobbiamo guardare a Gesù stesso per capire come comportarci, Lui stesso ci forma ad una modalità di risposta. Egli non ha voluto salvare se stesso ma ha continuato fino alla fine a perseverare nell’amore, a compiere il bene opponendosi ad ogni forma di violenza. Così ha speso la sua vita perdendola totalmente e per questo amore vissuto fino alla fine ha riavuto la vita dal Padre per sempre. Solo “chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”. Può bastare questa promessa per noi così incapaci di perseveranza, continuamente preda di false promesse più allettanti? Certamente non contando solo sulle nostre forze. Noi da soli non sappiamo essere fedeli, soltanto il Signore è veramente fedele. In Lui, che non ci ha lasciati orfani ma ci ha donato il suo Spirito che è Spirito di forza, coraggio, perseveranza, in Lui e con il suo Spirito possiamo ogni giorno lottare per ricominciare e ritornare a seguire il Signore perché sia Lui a vivere in e con noi.

sorella Antonella

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Mt 10, 17-22
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.
Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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