Ormai prossimi alla celebrazione del Natale, memoria del grande evento della venuta di Cristo nella carne, oggi ci è dato di sostare sul Magnificat, il cantico di Maria, un vero e proprio salmo collocato da Luca all’interno del vangelo. È stato pronunciato nell’intimità della casa di Zaccaria, in un luogo defilato, tra i monti della Giudea, ma poi è risuonato e tuttora risuona sulle labbra di generazioni di credenti.
Se il “Padre nostro” è il canone per eccellenza del pregare cristiano (ce l’ha lasciato Gesù stesso, su esplicita richiesta dei discepoli: “Signore, insegnaci a pregare”: Lc 11,1), il Magnificat ci presenta a sua volta un modello di preghiera. Soprattutto perché Maria inserisce la sua vicenda personale in un contesto più ampio, nell’orizzonte della storia, collegando il presente al passato e al futuro.
Ma c’è un altro aspetto che rende esemplare il cantico di Maria, ed è la lode: “L’anima mia magnifica il Signore”. “Magnificare” – cioè “fare grande, riconoscere grande” – è riconoscere Dio per quello che è, colui che “fa grandi cose”. È un magnificare che ha come contrappeso il riconoscere la propria piccolezza, la propria insignificanza. Piccolezza, sì, ma riempita da uno sguardo: Maria è stata guardata da Qualcuno, uno sguardo si è posato su di lei. Uno sguardo che è elezione, vocazione. Guardata, abitata da uno sguardo che si fa parola, che in lei si fa carne.
Ci sono sguardi che possono cambiare tutt’a un tratto la vita: in ogni storia di amore, in ogni vocazione, non c’è forse il lampo di uno sguardo che ci fa sentire scelti, eletti, amati? “Ha guardato, ha posato lo sguardo sulla piccolezza della sua serva”, e Maria vi ha risposto con l’umile “sì”. Certo, vi è qui uno scarto enorme tra chi guarda e chi è guardato, vi è una distanza abissale, ma colmabile: non dal basso verso l’alto, bensì dall’alto verso il basso, perché non è Maria che si innalza, è Dio che si abbassa a livello terra, è Dio che guarda l’humilitas (da “humus”, terra) della sua serva. Ed è proprio l’humilitas a offrire lo spazio perché l’humus, la terra, possa diventare grembo portatore di Dio!
“L’anima mia magnifica, il mio spirito esulta”: lode, ringraziamento, esultanza… Ma qual è ora l’anima che è chiamata a magnificare il Signore, a esultare in Dio? È l’anima di ognuno di noi, cioè la nostra persona, la nostra vita. È l’anima della chiesa, che si estende al mondo intero e che fa suo questo cantico di Maria. O noi siamo capaci, nella nostra piccolezza, di magnificare Dio, di riconoscerlo grande e come colui che fa cose grandi in noi e nella storia, oppure saremo condannati a restare persone dal cuore piccino, ristretto, ripiegato su di sé. O siamo capaci di riconoscere i doni e rendere grazie, oppure ci ritroveremo imprigionati nella logica del lamento, in una lagna perenne. Magnificare è esercizio di dilatazione del cuore!
Con grande sapienza, la chiesa ci fa pregare questo canto di Maria al tramonto del sole, al vespro, quando la giornata volge al termine e forse abbiamo mille ragioni di essere stanchi, delusi, frustrati. Che efficace correttivo questo cantico, che ci aiuta ad alzare lo sguardo dalle nostre miserie e ci offre le parole per magnificare Dio (e gli altri, e la vita!) per tutto ciò che, nonostante tutto, rende sensato il nostro vivere…
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Lc 1, 46-55
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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