Il personaggio di Levi – che Gesù vede, passando lungo il lago, e che chiama dietro a sé – appare nel vangelo solo in questo brano: si potrebbe dire che la sua vocazione si riassume nell’accoglienza che offre a Gesù. Un’accoglienza che sa di poter offrire perché riconosce che è lui, in primo luogo, a essere stato accolto, gratuitamente, da Gesù.
Levi era un pubblicano, un esattore delle imposte. Questa sua occupazione faceva di lui un collaboratore con l’occupante romano (a cui andavano le tasse): il suo ruolo lo rendeva quindi odiato ed emarginato. Per di più, spesso gli esattori aumentavano in modo abusivo le tariffe delle tasse che raccoglievano, a loro guadagno: erano perciò anche disprezzati per ragioni morali. Se il rapporto con loro era dunque ritenuto impuro, condividere la loro tavola sovvertiva di conseguenza le regole che stavano a fondamento della società.
Ora, dopo che il pubblicano Levi ha risposto (senza indugio e in modo risoluto, fattivo) alla chiamata di Gesù, assistiamo a un insolito rovesciamento: sembra che sia il Signore stesso ad andare dietro a Levi. Lo segue infatti nella sua casa, e si adagia al suo tavolo con molti altri peccatori. Questo non può che provocare reazioni da parte dei benpensanti… Forse avrebbero potuto accettare se Gesù avesse convertito Levi e avesse tirato fuori questo pubblicano dal suo retroterra sociale. Ma che il Maestro si rechi proprio in quell’ambiente malfamato, in compagnia di altri infausti collettori, questo è per loro inconcepibile! Infatti, ordinariamente è con coloro che riconosciamo appartenere al nostro stesso mondo che condividiamo il pasto.
Accettando questo invito di Levi, più ancora che con la chiamata a lui rivolta, Gesù dimostra quindi in modo scandaloso la portata universale della buona notizia del Regno che viene a diffondere e a instaurare. La sua forza è dirompente: abbatte le barriere sociali e le distinzioni morali in vigore, crea comunione là dove tutto sembrava opporsi in modo inflessibile. Sì, con questo suo gesto profetico, il rabbi di Nazareth manifesta che “dinanzi a Dio e con Gesù ognuno viene riconosciuto indipendentemente da qualsiasi qualità o assenza di qualità” (Elian Cuvillier).
E se il gesto non fosse sufficiente, Gesù vi aggiunge la parola. Attaccato sul suo comportamento dai farisei, risponde loro evidenziando innanzitutto che sbagliano punto di vista: mentre loro si angustiano per un rischio eventuale di contagio, Gesù invece si preoccupa del bisogno che i malati hanno del medico. In modo ironico, aggiunge che se i suoi interlocutori si reputano già puri, possono anche rinunciare al suo insegnamento… Invece, riconoscersi bisognosi non può che aprire all’altro, individuato anche lui nella sua condizione di bisognoso.
Oseremo allora a nostra volta accogliere Gesù alla nostra tavola, e seguirlo ai banchetti che abbiamo sempre considerato a noi proibiti, sapendo che, se – come Levi– siamo stati chiamati, anche noi apparteniamo alla cerchia di questi malati che il medico Gesù è venuto a curare senza condizione?
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Mc 2, 13-17
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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