Mio Signore e mio Dio!
L’evangelista Giovanni, con rara efficacia, riesce a mostrarci, ricorrendo alla descrizione degli elementi esteriori, le situazioni interiori delle persone: nella pericope odierna prevalgono inizialmente le tenebre, il buio della notte, le porte chiuse, il timore dei giudei. Noi leggiamo il tutto anche in senso traslato e spirituale.
Scopriamo il buio dei cuori, le chiusure degli animi e il persistere della paura. Sono questi sentimenti che ci accomunano agli apostoli e coincidono quasi sempre con l’assenza di Cristo o preludono ad un suo consolante intervento. Quante volte costatiamo che egli si inserisce dentro le nostre storie, dentro il nostro buio per diventare la nostra luce, per darci il suo conforto. Mostra le sua mani trapassate dai chiodi, il suo costato squarciato dalla lancia per sollecitarci a comprendere il recondito valore che egli ha voluto dare alla sofferenza in tutte le sue manifestazioni e come anche le nostre, se unite alle sue, diventano motivo di redenzione e di salvezza.
Egli l’ha sperimentato sulla sua carne, ha sperimentato anche il buio del sepolcro, ma proprio per quei patimenti ora può dire con efficacia: «Pace a voi!» e infondere coraggio ai suoi che sono al buio e spauriti. Per il sacrificio offerto al Padre, ora può alitare amore sugli Apostoli e dare loro il mandato di assolvere e perdonare, un amore da trasfondere con il sacramento della riconciliazione. Tommaso non crede alla testimonianza dei suoi compagni. Egli desidera una testimonianza più forte, vuole toccare con mano i segni della passione sul corpo del suo Signore, vuole attraverso quei segni, sorbire l’amore per credere e amare.
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Gesù soddisfa il suo desiderio e gode della risposta dell’Apostolo incredulo: «Signore mio e Dio mio». Soltanto da Tommaso ascoltiamo una simile espressione così turgida di fede e di amore. Il Signore si rivolge poi a noi definendoci beati se siamo capaci di credere non con la visione della carne, ma solo con lo sguardo della fede.
Monaci Benedettini Silvestrini
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