Il rifiuto di Gesù che sale…
Le ascensioni che piacciono a noi sono quelle che conducono verso il successo, verso la gloria, verso il benessere. L’ascensione di Gesù verso Gerusalemme, del vangelo di oggi, significa andare incontro alla morte, verso la disfatta totale. È difficile rassegnarsi alla morte sempre e comunque.
Per i discepoli, per i seguaci di Cristo, quegli annunci reiterati, li hanno gettati nello sbigottimento. Non possono e non vogliono credere che il seguire Gesù possa significare un fallimento totale delle loro aspettative e dei loro sogni di grandezza. Non si rassegnano all’idea che il Figlio di Dio, che compie prodigi e risùscita i morti, debba poi lui stesso soccombere alle trame degli uomini. Al rifiuto degli apostoli segue quello degli abitanti di un villaggio, dove sono giunti i discepoli, come messaggeri, per preparare la venuta del Cristo.
«Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme». Il motivo del rifiuto è lo stesso che scandalizza gli apostoli. È lo scandalo della croce che, prima ancora di essere innalzata, già sconvolge le menti dei deboli. Ci vuole fede grande e fortezza incrollabile per comprendere il piano divino di salvezza. L’iter della croce ha in sé una sua radicalità perché sgorga da un amore misericordioso infinito, non accessibile a menti umane. Il ritorno a Dio attraverso la croce è non solo la missione di Cristo redentore ma, da quel primo tragitto, è diventata la via di salvezza per ogni uomo, che sa identificarsi con lui.
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Dobbiamo doverosamente «aggiungere» quello che nella nostra carne manca ai patimenti di Cristo, la nostra libera e gioiosa partecipazione ai suoi dolori e alla sua passione. Ora ci appare del tutto ingiustificata e perfino assurda la reazione violenta di Giacomo e Giovanni: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?».
Il rimprovero di Gesù è per loro e per tutti noi, che spesso non siamo capaci di seguirlo sulla via del calvario e diventiamo poi intransigenti verso coloro che sperimentano le stesse nostre difficoltà. Amare il fratello vuol dire anche saperlo comprendere, specialmente lì dove ha difficoltà in qualunque sequela.
Monaci Benedettini Silvestrini
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