«In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,39-43): è l’affermazione attribuita da Luca a Gesù sulla croce, in risposta alla richiesta del “buon ladrone” con-crocifisso alla sua destra: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». È l’affermazione su cui si basa il detto comune che ricorre spesso sulla bocca di credenti cristiani in occasione della morte di qualcuno che ci è caro.
Che cosa intendere per “paradiso”? Nessuno può pretendere una “spiegazione” razionale: si tratta di un’“immagine” dal valore evocativo, un’immagine che ricorre anche in altre tradizioni religiose e che è legata al desiderio o, meglio, alla speranza di una vita oltre la morte. Originariamente infatti la parola rimanda al “giardino”, e in particolare al giardino primordiale dell’Eden (Gen 2,8), dunque ad una vita caratterizzata da pienezza, da un benessere creato da relazioni buone. Anche Gesù usa questa immagine per parlare di una “comunione” con lui: «oggi (sarai) con me…»! Il paradiso evoca perciò non un luogo, ma piuttosto un modo d’essere, in cui diventa determinante l’amore vissuto.
E tuttavia l’immagine non è banale né di superficie: la tensione fra immagine e significato appartiene al suo contenuto. Se infatti la speranza nel futuro buono, “con Gesù” o, con altre parole, “nelle mani di Dio Padre”, fosse privata di ogni rappresentazione, rischierebbe di diventare una vuota ideologia del futuro, senza possibilità di incidere sul presente. Il paradiso a cui fa riferimento il detto cristiano, invece, non è un reportage sulla fine dei tempi, ma esprime la convinzione di fede delle prime comunità, nelle quali l’attesa del regno di Dio è strettamente connessa alla persona di Gesù e alla sua risurrezione dai morti. Ne riassume poeticamente il senso un inno citato dal cristiano Barth: «Allora riconoscerò nella luce / quel che sulla terra vedevo in maniera oscura, / chiamerò stupendo e meraviglioso / quel che qui avveniva in maniera insondabile. / Allora il mio spirito contemplerà lodando e ringraziando / in modo coerente quanto è accaduto».
Proprio come, sempre poeticamente, ne parlava il cristiano Dante Alighieri nella terza cantica del suo poema: anche qui si parla del destino eterno dell’uomo. Evidenziando il carattere intuitivo ed esistenziale delle immagini, possiamo riconoscerle come simboli validi, che permettono al cristiano di conciliarsi con la propria mortalità e di guardare al di là della propria finitezza.
Su questa linea di comprensione intendono aiutare a riflettere i contributi del dossier:
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- «Il nostro fratello è già in paradiso», di Alberto Carrara. L’espressione è tipica di una fede che scavalca la fatica delle mediazioni, che allude senza poter Il contributo però intende offrire alcune considerazioni necessarie per cogliere la verità che sta dietro l’immagine.
- Il “paradiso”: prospettiva teologica, di Giovanni Ancona. La riflessione si pone qui nel quadro di una corretta “teologia” che vuole evidenziare il senso cristiano dell’affermazione: il paradiso è “essere con Cristo”, perciò ha a che fare con la santità come vocazione di ogni
- La predicazione sui “novissimi”, di Giacomo Canobb Di fronte alla “immagine” diventa importante lo sforzo di traduzione senza riduzione del contenuto di fede. Questo sforzo riguarda soprattutto la possibilità di comunicazione attraverso la predicazione e la catechesi, di cui la fede ha bisogno per essere alimentata e rafforzata.