Pace e bene, questa domenica apriamo il cuore alla gioiosa certezza della risurrezione, frutto dell’infinito amore e fedeltà di Dio per noi…
Alcuni sadducei pongono una questione abbastanza assurda a Gesù, costruendo un caso basato sull’antica legge del levirato in Israele, secondo cui un uomo doveva sposare la moglie del fratello morto così da dargli una discendenza. Alla base di questa legge vi è il forte ed arcaico desiderio di sopravvivere nei figli; il figlio infatti era considerato figlio del defunto, non del padre carnale. Ma nella logica dei sadducei basta questa legge per provare che non vi è risurrezione dai morti.
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Gesù risponde a tappe. Anzitutto fa capire che la risurrezione è un “salto” in una qualità di vita totalmente altra, rinnovata. Nella risurrezione gli uomini e le donne saranno partecipi della vita divina, dunque immortali, per cui il matrimonio non servirà più, essendo una realtà (sacra) legata a questo mondo e alla procreazione.
La prospettiva dei sadducei invece «presuppone una visione piuttosto materiale dell’aldilà: la risurrezione consisterebbe [al massimo] in un ritorno alla vita terrena soltanto migliorata e potenzializzata; si proietta nell’aldilà il positivo della vita terrena, in particolare le gioie, la fecondità e la fertilità, con un semplice aumento quantitativo. Ci sarà dunque anche un ritorno alla vita matrimoniale. Era una opinione assai comune nel giudaismo, ed è anche il punto debole dell’argomentazione dei sadducei» (G. Rossé).
Infatti la risurrezione della “carne”, promessa da Gesù a coloro che credono in Lui («chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» Gv 6,54), sarà un “di più” inimmaginabile, oltre ogni possibile umana congettura, perché è una novità preparata da Dio che non appartiene alle nostre categorie spazio-temporali. Un corpo spirituale, immortale, non soggetto alla corruzione, alle malattie… qualcosa di meraviglioso e non “campato in aria”, vista la concreta risurrezione di Gesù e la già avvenuta assunzione al cielo di Maria!
San Paolo, a proposito di questa splendida realtà, parla di «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» (1Cor 2,9). E quando parla della risurrezione utilizza l’immagine della semina: la pianta che cresce, infatti, non è un seme proporzionalmente più grande: «Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale» (1Corinzi 15,42- 44). E fa notare Robert Cheiab: «Pur non sapendo come saranno i nostri corpi, è certo che essi non saranno una carne sottomessa alla corruzione. Qui ci possono essere di aiuto le sfumature dell’ebraico quando parla del corpo: basar. Basar è sì corpo, ma è anche persona. Al plurale significa popolo. Basar, in breve, è l’identità personale. Per cui, trasformati, trasfigurati, saremo comunque noi stessi»
In secondo luogo, che Dio sia il Dio dei viventi e non dei morti è già più che comprovato nel primi cinque libri della Bibbia (la Torah, nella quale i sadducei dicevano di credere). Gesù lo dimostra citando l’episodio del roveto ardente (cf Es 3,6), in cui Dio si rivela a Mosè come è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, che in Lui sono dunque vivi, nell’attesa della risurrezione finale del “corpo”.
Questo riempie di consolazione. Nella risurrezione, saremo sempre noi, con il nostro “io profondo” ma immersi in una qualità di vita nuova e totalmente altra! Cosa significa? Che in Dio ci ritroveremo, ci riconosceremo, ci conosceremo tutti, essendo partecipi della divinità e onniscienza di Dio. Che meraviglia! E riconosceremo i meriti gli uni degli altri, senza invidia né divisione alcuna, ma gioendo e amandoci dello stesso amore divino!
E l’efficacia della risurrezione investe già la vita terrena, dando modo alle persone di poter vivere in un altro modo. Vivendo unito a Dio «l’uomo può rinunciare al matrimonio perché è “persona”, costituita come tale dal suo rapporto con Dio. Non è tenuto a conservare la specie, perché è della stessa specie di Dio… Il matrimonio cristiano con la sua fecondità… è testimonianza dell’amore e della fecondità di Dio… è segno transitorio di ciò che sarà per sempre: vivere per Lui come Lui vive per noi; è la nostra piena realizzazione» (p. Silvano Fausti).
Per questo già ora è dato ai credenti di poter anticipare questa forma di vita “come angeli nei cieli” consacrandosi interamente a Dio, per amare tutti del suo stesso amore, donandosi con generosità. Chiediamo al Signore che ravvivi in noi il desiderio del cielo, di ritrovare in Lui i nostri cari e di vivere su questa terra secondo il cielo, sapendoci amati e amando del suo stesso amore.