Pace e bene,
questa domenica immergiamoci nelle beatitudini, aprendo il cuore alla consolazione di Dio che ci viene incontro nelle nostre povertà, trasformandole in luoghi di benedizione…
Le beatitudini sono una delle pagine più affascinanti e sovversive del Vangelo. Gesù sale sul monte e “nella posizione di Dio” dona una nuova “legge”, o meglio, la strada verso una beatitudine piena e duratura. Si tratta di una strada diametralmente opposta a quella del mondo. Dire “beato te” è come a dire “felice te, mi congratulo con te”. E solitamente, le nostre “beatitudini” son ben diverse. Prova a dire ad un povero: beato te, vediamo che ti succede! Solitamente diciamo beati i ricchi, beato quello che ha la macchina nuova, che ha una bella famiglia… «Noi pensiamo beati i ricchi, beati i potenti, beati gli orgogliosi. Per questo il mondo è infelice. Perché siamo sbagliati nella testa, nel cuore e nelle mani, nelle opere. Si opera l’ingiustizia, l’oppressione, la divisione, l’odio, la cattiveria… Quindi capite il grande valore di queste Parole. Capovolge radicalmente, in una semplice parola, tutti i criteri mondani di ingiustizia, di oppressione» (p. Silvano Fausti).
Dio è felice, rende felici e ci vuole felici. Dunque la prima cosa è non rassegnarci a volare bassi, a razzolare nella quattro proposte che il mondo ci fa, spesso legate alla soddisfazione di piaceri fisici immediati o a cose esteriori e passeggere… Se Dio indica un’altra strada rispetto al mondo, e se noi desideriamo davvero essere felici, dobbiamo coglierne le coordinate. Dobbiamo chiedere al Signore la grazia di capire e vivere secondo le beatitudini. Pena, mancare sempre ciò che profondamente cerchiamo.
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Facendo un passo avanti, notiamo come dopo la proclamazione della beatitudine, abbiamo la categoria (i poveri, gli affamati di giustizia) e poi il motivo per cui in quelle situazioni si è beati. Cioè non si è beati perché si è afflitti. Gesù non beatifica una condizione ma ciò a cui essa conduce se la viviamo uniti a Dio, progressivamente già ora e in pienezza nell’eternità.
Soffermiamoci in particolare sulla prima beatitudine che è la porta di ingresso per tutte le altre, che permette di capire e vivere tutte le altre. Se ci fate caso è la sola con il verbo essere al presente: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli». Chi sono i “poveri in spirito”? L’aggettivo greco ptochós (povero) vuol dire “mendicante”. Questo termine si collega al concetto ebraico di ‘anawîm, i “poveri di Jahweh”. Sono coloro che non si fidano delle proprie forze ma di Dio, che ripongono in Lui la loro fiducia. Allargando un po’, possiamo dire che sono coloro consapevoli dei loro limiti, della propria condizione esistenziale di povertà, di bisogno di Dio e degli altri. Potremmo dire che sono l’antitesi dell’autoreferenziale, dell’orgoglioso, del tronfio. Il vero “povero” del Signore per eccellenza è Gesù stesso, che ha sempre vissuto profondamente unito al Padre, ed è arrivato a spogliarsi di tutto per noi. Gesù, come ha saggiamente scritto Santa Teresina di Lisieux, nella sua Incarnazione si presenta come un mendicante, bisognoso d’amore. E il Catechismo della Chiesa Cattolica parla dell’uomo che di un mendicante di Dio (CCC 2559), arrivando a definire la preghiera come l’incontro tra la sete di Dio e la nostra sete (CCC 2560).
Il povero in spirito per Gesù è colui che ha fiducia in Dio, che mendica il suo Spirito, il suo amore, che confida in Lui e non nelle ricchezze di questo mondo. È colui che si fa anche povero materialmente se necessario, per essere libero e disponibile nei confronti degli altri. Soprattutto il povero in spirito è colui che concepisce se stesso nei termini di gratuità, di dono e non di possesso.
Che il Signore ci aiuti ad essere veri poveri in spirito, per poter gustare la sua dolce presenza, capace di consolarci e rafforzarci nelle difficoltà, liberarci dal nostro egoismo, rendendoci segno e strumento del suo amore.