Pace e bene questa domenica lasciamoci coinvolgere nel cammino dei discepoli di Emmaus, chiedendo al Signore di sperimentare anche noi, nella nostra vita, il loro itinerario trasformativo…
La terza domenica di Pasqua ci propone l’incontro tra il Signore risorto e i discepoli di Emmaus, un incontro significativo e paradigmatico. Ci fa capire come Gesù continui ad agire nella nostra storia per condurci ad una comunione sempre più piena con Lui e tra noi.
Due discepoli si stanno allontanando da Gerusalemme, luogo dove Gesù è morto. Si allontanano da quello che per loro è luogo di “sconfitta”, che fa loro male e, al contempo, si allontanano dalla comunità. Potremmo dire che si isolano. Lungo questo cammino «conversavano tra loro di quanto era accaduto». Luca usa il verbo omilein. Si facevano l’omelia, parlavano senza ascoltarsi o comunque presi e convinti delle loro prospettive, fomentando tristezza e delusione.
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Ad un tratto, uno “sconosciuto” si affianca loro e si fa dire di cosa stessero parlando. Ed ecco la spiegazione della loro sofferenza: «noi pensavamo che fosse lui a liberare Israele…». Cioè loro da Gesù si aspettavano altro, se lo aspettavano diverso, e questo li sta mandando in tilt. Le cose non dovevano andare così, pensavano a un esito diverso, a un cammino diverso, impastato di gloria, di conquiste, di liberazioni roboanti… Quante volte ci capita lo stesso: non soffriamo tanto per i fatti ma per la lettura distorta che ne diamo, negativa, egoistica, oppure per le nostre aspettative assolutizzate ma smentite dai fatti, attese e poi disattese.
Gesù parte da qui, dal punto dove si trovano, e dopo averli ascoltanti, li riprende autorevolmente per l’incomprensione e la durezza di cuore. Questo avrà generato in loro imbarazzo, vergogna, disponendoli all’ascolto. E Gesù inizia a spiegare loro come tutto ciò che è accaduto era stato profetizzato e rientra nel disegno di salvezza di Dio. Egli doveva amarci sino alla fine per manifestarci il suo volto, era necessario che fosse fedele in tutto per riconciliarci al Padre. La parola di Gesù e la grazia dello Spirito Santo iniziano a “chiarire le idee”, aiutando i discepoli a leggere le cose secondo un’altra prospettiva, secondo la vera prospettiva.
Qualcosa si accende in loro, avvertono “il fuoco nel petto”, una gioia profonda, una presenza amica che li rasserena e rischiara. Quindi “lo sconosciuto”, esaudendo la loro richiesta, resta con loro e nell’atto dello spezzare il pane lo riconoscono: è Gesù risorto!, e subito scomparve dai loro occhi. E poi, pieni di gioia, una volta ascoltato, celebrato la comunione con il Signore, ritornano pieni di gioia dagli altri discepoli, facendo nuovamente comunione con essi, annunziando quanto hanno vissuto.
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Cosa abbiamo qui sotto se non la grammatica della celebrazione eucaristica? Dove ancora oggi incontriamo Gesù risorto?
Noi arriviamo a messa con le nostre gioie e dolori, con i nostri peccati, con i nostri pensieri, con la nostra lettura dei fatti, della storia, della nostra storia. Ed ecco che dopo l’atto penitenziale, che ci aiuta a disporci in umiltà davanti a Dio, ne ascoltiamo la parola, che come dice il Salmo 118 è «lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino» (v. 105).
La parola di Dio che accogliamo nella liturgia, quel passo del Vangelo che meditiamo quotidianamente (speriamo di farlo!), è una luce che rischiara le nostre tenebre, che ci aiuta a leggere nella verità le cose e a scegliere secondo il meglio, secondo il cuore di Dio. Abbiamo tanto bisogno di lasciarci parlare alla mente e al cuore da Gesù, abbiamo bisogno di aprirci con chi ci può aiutare spiritualmente a vedere le cose nella giusta prospettiva. Tante nostre letture dei fatti sono parziali, incomplete, viziate, assolutizzate. L’ascolto della parola di Dio nella liturgia è occasione preziosa per andare più in profondità.
E poi, dopo aver ascoltato il Signore nella liturgia della parola, ecco la liturgia eucaristica, dove accogliamo Lui e diciamo il nostro amen per vivere ciò che abbiamo udito. Dio si fa pane di vita, alimento per sostenere il nostro cammino in questa vita. È un dono immenso. Giovanni Paolo II ebbe a dire: «Qui c’è il tesoro della Chiesa, il cuore del mondo, il pegno del traguardo a cui ogni uomo, anche inconsapevolmente anela; nell’umile segno del pane e del vino, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci rende per tutti testimoni di speranza». Chissà quanto ne siamo consapevoli.
In una rivelazione privata, Gesù disse a santa Faustina: «Sappi, figlia mia, che quando nella S. Comunione vengo in un cuore umano, ho le mani piene di grazie di ogni genere e desidero donarle all’anima, ma le anime non mi prestano nemmeno attenzione, Mi lasciano solo e si occupano di altro»…
Infine, l’invio, l’ite missa est che non è un arrivederci e grazie, o andate in pace, tutto finito, a posto così; no, è un andate, la missione è. Sì, quella bellezza che abbiamo incontrato, quell’amore che abbiamo accolto, quell’incontro con Dio che abbiamo celebrato, ci spinge ad andare incontro agli altri, per celebrare rapporti di fraternità e di comunione.
Cari fratelli e sorelle, questo testo, non solo ci comunica una mirabile esperienza del Risorto ma ci consegna le coordinate per viverla anche noi, specialmente durate la celebrazione eucaristica, “luogo” dove il Signore continua a rendersi presente per parlarci, comunicarsi a noi e trasformarci. Che il Signore ci aiuti a scoprirne sempre più la bellezza e il valore perché Egli possa davvero regnare nel nostro cuore.