Siamo ormai prossimi alla conclusione dell’anno liturgico e la parabola di oggi, anch’essa tratta (come quella di domenica scorsa) dal “discorso escatologico”, ci aiuta a porci in una corretta posizione davanti a Dio e alla vita.
Immediatamente, il senso della parabola è sufficientemente chiaro. Il “padrone” (= Dio) affida con estrema generosità e abbondanza i suoi “talenti” (circa 34 kg d’oro l’uno a quel tempo!) ai suoi “servi” (cioè a noi), a ciascuno secondo la propria capacità. Ecco, Dio è generoso, si fida di noi, ci affida i suoi talenti, ci colma di beni naturali (la vita, l’intelligenza, la volontà, la libertà, la capacità di amare…) e soprannaturali (la sua grazia, la sua vita divina nei sacramenti, la sua Parola…).
La tua vita è piena di doni, di benedizioni. Tu stesso sei un capitale preziosissimo. E a ciascuno il Signore ha affidato un compito, una missione, equipaggiandolo dei beni necessari per compierla. Perciò è inutile perdersi in confronti, lasciarsi andare a latenti invidie. Ciò che conta è essere ciò che Dio ha sognato, e darci da fare per realizzare il nostro compito e giungere a pienezza!
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Torniamo alla parabola: due servi si danno da fare per far fruttificare i talenti ricevuti, uno no e, tra l’altro, è colui con un solo talento. Costui, al ritorno del padrone si giustifica, dicendo che, sapendolo uomo duro e rigoroso, ha preferito non rischiare, nascondendo (per paura) il suo talento. L’idea distorta del suo padrone lo ha incastrato, condannandosi a vivacchiare, accontentandosi del “minimo sindacale”.
È vissuto in un gretto timore servile, all’insegna di sé, del proprio egoismo, senza mettersi in gioco per ciò che vale, senza sacrificarsi per amare. Aveva un capitale a disposizione e invece ha vissuto come un miserabile. Mentre gli altri due si sono messi in gioco, lui per paura ha nascosto il talento, ha vissuto “conservando” e conservandosi. Ha tenuto per sé quel dono, senza investirlo, senza donarlo a sua volta. È stato avaro, concentrato su di sé, perciò ha fallito.
Vedete, anche noi possiamo vivere schiavi di un’idea distorta di Dio: ridurlo a un punitore seriale, a qualcuno di cui aver paura. Vi sono alcuni che vivono male la loro fede, sempre in “difesa”, sempre e solo preoccupati di non commettere (certi) peccati ma senza slancio, senza generosità. Vi sono persone rimaste sole per mancanza di generosità, che non hanno imparato a perdersi, a giocarsi fino in fondo.
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Chi vive così? Chi non ha incontrato il vero volto di Dio, chi non ha sperimentato il suo amore, e vive schiavo della paura della morte, preoccupato di auto-conservarsi, che non dà e non si dà più di tanto per paura di perdersi. Ha dimenticato (o non ha scoperto) che siamo nati per amore e per amare, per servire Dio in questa vita e goderlo nell’altra. Vive bene chi sta conoscendo il Signore, chi ne gusta la bellezza, chi sperimenta quella gioia che sgorga dall’unione con Lui, dal bene fatto, dal sacrificio vissuto per amore, una gioia bella, intensa, che sarà piena quando saremo con Lui nel cielo. C’è un “poco” ben vissuto che diventa via di accesso al “molto” che Dio vuol donarci quando saremo per sempre con Lui, partecipi della sua vita, della sua potestà!
Ecco, la parola di oggi viene a scuoterci dal torpore e a ricordarci che Dio è generoso, che siamo stati colmati di tanti doni, dunque siamo chiamati a donarci. La vita è un dono da donare. Se la teniamo per noi marcisce, se la doniamo fiorisce! Dio ci offre i suoi beni, ci offre tante occasioni, a noi coglierle; ci apre tante belle porte, a noi entrarvi!