Pace e bene, questa domenica, mediante la parabola degli invitati al banchetto, siamo invitati a riscoprire Dio come gioia, i suoi inviti come pienezza, e ad interrogarci sul come gli stiamo corrispondendo…
La parabola di oggi prosegue la polemica tra Gesù e i capi religiosi. Gesù paragona il regno dei cieli a un re che invita a un banchetto di nozze con lui. Il banchetto rimanda a gioia, a bellezza; le nozze a comunione di vita. Ecco, Dio in Gesù ci chiama alla comunione con sé e in questa comunione, in questa relazione profonda d’amore, è la nostra gioia, la vita eterna! Ma i primi invitati rifiutano: c’è chi banalizza un invito così bello, chi ha altre priorità, chi se la prende con coloro che li invitano…
Storicamente, simboleggia il rifiuto dei “primi” ai quali Gesù si è rivolto, dunque al popolo di Israele, specie ai suoi capi e alle sue guide. Ma non è forse anche la (triste) realtà di oggi? Quanti “invitati” rifiutano? Quante volte si invitano le persone a pregare, ad aprire il cuore a Gesù, a partecipare all’eucaristia, a vivere momenti di spiritualità, di fraternità ma la risposta è sempre no! Hanno altre priorità, hanno altre cose da fare “più importanti di Dio”. Tu li inviti ad aprirsi al Signore, a sperimentarne l’amore, il perdono, ma loro rifiutano o peggio, ti scherniscono! Che fare? Quello che fa il re: non si scoraggia.
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Apre il suo invito tutti, senza insistere oltremodo con quelli. Oltre alla chiamata che Gesù rivolge ai peccatori (e non solo ai “giusti”) e che la Chiesa rivolge a tutti i popoli, nell’esperienza quotidiana l’atteggiamento del re ci suggerisce che non serve insistere troppo, diventando pesanti e petulanti: a volte l’invito cade nel vuoto perché non è ancora tempo. Quando uno rifiuta c’è da continuare a pregare per quella persona, a volerle bene, “mostrando gli effetti” della comunione vissuta con Dio, parlandone solo quando serve.
E nel contempo, portare ad altri il proprio annuncio, la propria testimonianza. Nel Vangelo si parla di un invito rivolto a tutti, cattivi e buoni. Così è l’annuncio del Vangelo: va rivolto a tutti; così sono le porte della Chiesa, aperte a tutti. Poi coloro che si decidono per Gesù sono chiamati a vivere (e vanno accompagnati) nel loro cammino di conversione e maturazione. Se è vero che l’annuncio va rivolto a tutti e che l’amore di Dio è per tutti, è altresì vero che tutti coloro che si decidono per Gesù sono chiamati a camminare (e ad essere accompagnati) sulla via della conversione e della maturazione personale.
La fede è chiamata ad incarnarsi, a diventare adesione concreta a Cristo e alla Chiesa. Ecco il senso dell’immagine successiva, quello dell’uomo presente alla festa ma senza abito nuziale: «Nella tradizione biblica esso rappresenta le qualità etiche o spirituali della persona: “la veste della salvezza e il manto della giustizia” (ls 61, 10); indica l’appartenenza alla comunità dei salvati (Ap 3,4.5.18), il dono del battesimo, il cammino della conversione, le opere oppure semplicemente la dignità. In questa parabola… il vestito è il simbolo della fede perseverante e attiva che si concretizza in una prassi di amore» (don S. Grasso).
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Come ha ulteriormente esplicitato Benedetto XVI: «San Gregorio magno spiega che quel commensale ha risposto all’invito di Dio a partecipare al suo banchetto, ha, in un certo modo, la fede che gli ha aperto la porta della sala, ma gli manca qualcosa di essenziale: la veste nuziale, che è la carità, l’amore. E san Gregorio aggiunge: “Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità” (Homilia 38,9: PL 76,1287).
E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr ibid.,10: PL 76,1288). Tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto, ma dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità, vivere un profondo amore a Dio e al prossimo». Ecco il punto: accogliere il Signore significa aprirci al suo amore, e seguirlo significa imitarlo, incarnarlo, donarlo a nostra volta!