PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA DEL 21 MARZO 2020
NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE
https://youtu.be/oJNYwgR214c
Ascolta solo l’omelia
[Aggiornamento delle 13:55]
Introduzione alla Messa
Oggi vorrei ricordare le famiglie che non possono uscire di casa. Forse l’unico orizzonte che hanno è il balcone. E lì dentro, la famiglia, con i bambini, i ragazzi, i genitori… Perché sappiano trovare il modo di comunicare bene tra loro, di costruire rapporti di amore nella famiglia, e sappiano vincere le angosce di questo tempo insieme, in famiglia. Preghiamo per la pace delle famiglie oggi, in questa crisi, e per la creatività.
Omelia
Quella Parola del Signore che abbiamo sentito ieri: “Torna, torna a casa” (cfr Os 14,2); nello stesso libro del profeta Osea troviamo anche la risposta: «Venite, ritorniamo al Signore» (Os 6,1). È la risposta quando quel “torna a casa” tocca il cuore: «Ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. […] Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora» (Os 6,1.3). La fiducia nel Signore è sicura: «Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra» (v. 3). E con questa speranza il popolo incomincia il cammino per ritornare al Signore. E una delle maniere, dei modi di trovare il Signore è la preghiera. Preghiamo il Signore, torniamo da Lui.
Nel Vangelo (cfr Lc 18,9-14) Gesù ci insegna come pregare. Ci sono due uomini, uno un presuntuoso che va a pregare, ma per dire che è bravo, come se dicesse a Dio: “Guarda, sono così bravo: se hai bisogno di qualcosa, dimmi, io risolvo il tuo problema”. Così si rivolge a Dio. Presunzione. Forse lui faceva tutte le cose che diceva la Legge, lo dice: «Digiuno due volte alla settimana, pago le decime di tutto quello che possiedo» (v. 12) … “sono bravo”. Questo ci ricorda anche altri due uomini. Ci ricorda il figlio maggiore della parabola del figliol prodigo, quando dice al padre: “Io che sono così bravo non ho la festa, e questo, che è un disgraziato, tu gli fai la festa…”. Presuntuoso (cfr Lc 15,29-30). L’altro, di cui abbiamo sentito la storia in questi giorni, è quell’uomo ricco, un senza-nome, ma era ricco, incapace di farsi un nome, ma era ricco, non gli importava nulla della miseria degli altri (cfr Lc 16,19-21). Sono questi che hanno sicurezza in sé stessi o nel denaro o nel potere…
Poi c’è l’altro, il pubblicano. Che non va davanti all’altare, no, resta a distanza. «Fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”» (Lc 18,13). Anche questo ci porta al ricordo del figliol prodigo: si accorse dei peccati fatti, delle cose brutte che aveva fatto; anche lui si batteva il petto: “Tornerò da mio padre e [gli dirò]: padre, ho peccato”. L’umiliazione (cfr Lc 15,17-19). Ci ricorda quell’altro, il mendicante, Lazzaro, alla porta del ricco, che viveva la sua miseria davanti alla presunzione di quel signore (cfr Lc 16,20-21). Sempre questo abbinamento di persone nel Vangelo.
In questo caso, il Signore ci insegna come pregare, come avvicinarci, come dobbiamo avvicinarci al Signore: con umiltà. C’è una bella immagine nell’inno liturgico della festa di San Giovanni Battista. Dice che il popolo si avvicinava al Giordano per ricevere il battesimo, “nuda l’anima e i piedi”: pregare con l’anima nuda, senza trucco, senza travestirsi delle proprie virtù. Lui, lo abbiamo letto all’inizio della Messa, perdona tutti i peccati ma ha bisogno che io gli faccia vedere i peccati, con la mia nudità. Pregare così, nudi, con il cuore nudo, senza coprire, senza avere fiducia neppure in quello che ho imparato sul modo di pregare… Pregare, tu e io, faccia a faccia, l’anima nuda. Questo è quello che il Signore ci insegna. Invece, quando andiamo dal Signore un po’ troppo sicuri di noi stessi, cadremo nella presunzione di questo [fariseo] o del figlio maggiore o di quel ricco al quale non mancava nulla. Avremo la nostra sicurezza da un’altra parte. “Io vado dal Signore…, ci voglio andare, per essere educato… e gli parlo a tu per tu, praticamente…”. Questa non è la strada. La strada è abbassarsi. L’abbassamento. La strada è la realtà. E l’unico uomo qui, in questa parabola, che aveva capito la realtà, era il pubblicano: “Tu sei Dio e io sono peccatore”. Questa è la realtà. Ma dico che sono peccatore non con la bocca: col cuore. Sentirsi peccatore.
Non dimentichiamo questo che il Signore ci insegna: giustificare sé stessi è superbia, è orgoglio, è esaltare sé stessi. È travestirsi da quello che non sono. E le miserie rimangono dentro. Il fariseo giustificava sé stesso. [Invece bisogna] Confessare direttamente i propri peccati, senza giustificarli, senza dire: “Ma, no, ho fatto questo ma non era colpa mia…”. L’anima nuda. L’anima nuda.
Il Signore ci insegni a capire questo, questo atteggiamento per incominciare la preghiera. Quando la preghiera la incominciamo con le nostre giustificazioni, con le nostre sicurezze, non sarà preghiera: sarà parlare con lo specchio. Invece, quando incominciamo la preghiera con la vera realtà – “sono peccatore, sono peccatrice” – è un buon passo avanti per lasciarsi guardare dal Signore. Che Gesù ci insegni questo.
Di seguito la preghiera recitata dal Papa:
Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell’anima mai. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. E come già venuto, Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che abbia mai a separarmi da Te.