PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA DEL 18 GIUGNO 2018 NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE
Il primo passo di ogni dittatura è la manipolazione senza scrupoli della libera comunicazione, attraverso la seduzione degli scandali e le calunnie, per indebolire la vita democratica e condannare persone e istituzioni. Un sistema — ha affermato il Papa nella messa celebrata lunedì 18 giugno a Santa Marta — che è stato applicato anche dalle dittature del secolo scorso, come conferma l’orrore della persecuzione contro gli ebrei. Ma che riscontriamo ancora oggi in molti Paesi, come pure nella vita di ogni giorno.
Per la sua riflessione Francesco ha preso le mosse dalla prima lettura, tratta dal primo Libro dei Re (21,1-16), constatandone l’attualità e invitando tutti a rileggerla per farla propria: «La storia di Nabot è commovente: è la storia di un martire, martire della fedeltà all’eredità che aveva ricevuto dai suoi padri». E «l’eredità non si vende: questa era la convinzione di Nabot». Perché, ha spiegato il Pontefice, l’«eredità era oltre quella vigna», era «un’eredità del cuore: questo non si vende».
«Io custodisco l’eredità» ha rilanciato il Papa. Ma il passo biblico, ha proseguito, ci racconta «la voglia, diciamo così, di questo re — poveraccio, non sapeva cosa voleva, non sapeva governare — che, come un bambino, diventa capriccioso: “Io voglio quello, io sono il re”». E «siccome non sa come fare, fa come i bambini quando non riescono ad avere quello che vogliono: piangono, diventano tristi». Ma ecco che «la moglie — una donna decisa, crudele, finirà mangiata dai cani — lo rimprovera: “Alzati, io ti insegnerò come si governa”». E «così nasce questa storia» presentata dalla liturgia.
«La storia di Nabot è paradigmatica di tanti martiri della storia» ha affermato Francesco: «È paradigmatica del martirio di Gesù; è paradigmatica del martirio di Stefano; è paradigmatica pure, dall’Antico testamento, di Susanna; è paradigmatica di tanti martiri che sono condannati grazie a una messa in scena calunniosa». Ma «questa storia — ha spiegato ancora il Pontefice — è anche paradigmatica del modo di procedere nella società di tanta gente, di tanti capi di Stato o di governo: comunicano una bugia, una calunnia e, dopo aver distrutto sia una persona sia una situazione con quella calunnia, giudicano quella distruzione e condannano».
«Anche oggi, in tanti Paesi — ha fatto presente il Papa — si usa questo metodo: distruggere la libera comunicazione». E ha continuato: «Per esempio, pensiamo, c’è una legge dei media, di comunicazione, si cancella quella legge; si dà tutto l’apparecchio della comunicazione a una ditta, a una società che calunnia, dice delle falsità, indebolisce la vita democratica». Poi «vengono i giudici a giudicare queste istituzioni indebolite, queste persone distrutte, condannano, e così va avanti una dittatura». Del resto, ha aggiunto Francesco, «le dittature, tutte, hanno incominciato così, con l’adulterare la comunicazione, per mettere la comunicazione nelle mani di una persona senza scrupolo, di un governo senza scrupolo».
Ma «anche nella vita quotidiana è così» ha fatto notare il Papa. Tanto che «se io voglio distruggere una persona, incomincio con la comunicazione: sparlare, calunniare, dire degli scandali». Oltretutto, ha aggiunto, «comunicare scandali è un fatto che ha una seduzione enorme, una grande seduzione». E infatti «si seduce con gli scandali, le buone notizie non sono seduttrici: “Sì, ma che bello che ha fatto!”». E la notizia «passa» subito. Invece, di fronte a «uno scandalo», la reazione è: «Ma hai visto! Hai visto questo! Hai visto quell’altro cosa ha fatto? Questa situazione non può, non si può andare avanti così!».
In questo modo, ha proseguito il Pontefice, «la comunicazione cresce e quella persona, quella istituzione, quel Paese finisce nella rovina». Così facendo, «non si giudicano alla fine le persone, si giudicano le rovine delle persone o delle istituzioni, perché non possono difendersi». In questa prospettiva Francesco ha suggerito di pensare «a Susanna, per esempio, che dice: “ma io sono nell’angolo, se io cedo alla seduzione e pecco, avrò la condanna del Signore; se io rimango nella mia fede avrò la condanna della gente”».
«La seduzione dello scandalo nella comunicazione — ha insistito il Papa— porta proprio nell’angolo, distrugge». Ed è ciò che «è accaduto con Acab, nella storia di Acab. È accaduto con Nabot. Il giusto Nabot che soltanto voleva una cosa: essere fedele all’eredità dei suoi antenati, non vendere l’eredità, non vendere la storia, non vendere la verità».
«A me colpisce tanto — ha confidato il Pontefice — vedere come Stefano fa quel lungo discorso per difendersi a quelli che lo accusavano: non ascoltavano e, nel frattempo, sceglievano le pietre per lapidarlo». Per loro, infatti, «era più importante lapidare Stefano che sentire la verità». Proprio «questo è il dramma dell’avidità umana: che anche l’avidità è debole, perché questo re ha voglia di tante cose, ma è un debole, e quando vede che non ce la fa va a letto». Ma ecco che «c’è la crudeltà» di «chi parla all’orecchio e gli dice cosa deve fare: distruggere».
E «così abbiamo visto tante persone distrutte per una comunicazione malvagia come questa che ha fatto la regina Gezabèle» ha riconosciuto Francesco, sottolineando: «Tante persone, tanti Paesi distrutti per dittature malvagie e calunniose: pensiamo, per esempio, alle dittature del secolo scorso». In particolare, ha detto il Papa, «pensiamo alla persecuzione degli ebrei: una comunicazione calunniosa contro gli ebrei e finivano ad Auschwitz perché non meritavano di vivere». E questo «è un orrore, ma un orrore che succede oggi: nelle piccole società, nelle persone e in tanti Paesi». Sempre, ha riaffermato il Pontefice, «il primo passo è appropriarsi della comunicazione e, dopo la distruzione, il giudizio e la morte». Dunque «non era un’idea peregrina quella dell’apostolo Giacomo, quando parlò della lingua e della capacità distruttiva della comunicazione malvagia: lui sapeva di cosa parlava».
In conclusione Francesco ha invitato a trovare «un pochettino di tempo, perché tutti poi siete persone indaffarate», per prendere «il primo libro dei Re, capitolo 21, e rileggere questa storia di Nabot». E pensare «a tante persone distrutte, a tanti Paesi distrutti, a tante dittature con “guanti bianchi” che hanno distrutto i Paesi». E «questo per la forza della comunicazione calunniosa che porta avanti questa distruzione». Perciò, ha ripetuto il Papa, «prendiamo oggi il primo libro dei Re, capitolo ventunesimo — non dimenticate — e leggiamo questa ingiustizia che succede oggi fra noi».