PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA DEL 13 OTTOBRE 2017 NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE
Vigilanti contro la mondanità
Papa Francesco ha messo in guardia dai «demoni educati», che ben mimetizzati propongono furbescamente tentazioni e seduzioni con le buone maniere finendo per fare «possessioni da salotto». Alle quali ha suggerito di rispondere con «la vigilanza», che significa «preghiera, esame di coscienza e opere di carità», per non cadere nella «mondanità» e meritare anche l’appellativo di «sciocco» che san Paolo riserva ai Galati. Da qui l’invito — rivolto ai fedeli durante la messa celebrata a Santa Marta venerdì 13 ottobre — a tornare a guardare «Cristo crocifisso», smettendo i panni di «cristiani tiepidi».
«Tante volte Gesù nelle sue prediche ci ammonisce di essere vigilanti, di vegliare, di restare in attesa» ha fatto subito presente il Papa all’omelia. In un’occasione, ha aggiunto, disse di vigilare «perché voi non conoscete l’ora nella quale verrà il figlio dell’uomo». Infatti, «la vigilanza dev’essere preparata in funzione della venuta del Signore». In altre occasioni Gesù fa questa stessa raccomandazione «sottolineando il “prepararsi”: è il caso delle dieci ancelle, le prudenti e quelle che non erano prudenti, preparate». Le prime «avevano tutto preparato, anche l’olio delle lampade»; le seconde «erano lì alla buona, senza pensare di essere preparate».
«Vigilate», dunque, è il suggerimento di Gesù che, «altre volte, lo fa consigliando la preghiera, la vigilanza per non entrare in tentazione». Ad esempio, ha affermato il Pontefice, «lo dice ai suoi discepoli nell’orto degli Ulivi: loro si addormentavano per la paura» ed egli raccomanda: «pregate e vigilate per non entrare in tentazione».
Insomma, «tante volte il Signore chiede di essere vigilanti», perché «il cristiano sempre è in veglia, vigila, sta attento; ha qualcosa della sentinella, deve stare attento». E «oggi il Signore ci sorprende con un’altra vigilanza che non è facile da capire ma è tanto comune», ha fatto notare il Papa riferendosi al passo evangelico di Luca (11, 15-26) proposto dalla liturgia.
In pratica, ha spiegato ripercorrendo il brano del Vangelo, Gesù «scaccia un demonio e poi viene questa discussione. Alcuni dissero: “Ha il permesso di Belzebù”, e tutta questa storia; Gesù si difende e, nella diatriba, porta questi al ridicolo. Finito questo, si ferma e ci dice non una parabola: in forma di parabola, ma non una parabola, ci dice una verità. Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti, cercando sollievo, e non trovandone, dice: “ritornerò nella mia casa da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. L’uomo che abita lì è libero. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. La condizione di quell’uomo prima che il demonio fosse scacciato dalla sua vita era migliore di questa».
Cosa significano queste parole di Gesù e quando succedono queste cose? Ecco la questione posta dal Pontefice nel proporre la meditazione sul passo del Vangelo di Luca. «È una figura» ha spiegato. E il Signore «prende la figura dei demoni nel deserto, girando, soffrendo. Pensiamo quando Gesù scaccia quei demoni che si chiamano “legioni” perché sono tanti e loro chiedono di andare dai maiali, perché non se la sentono di girare nel deserto». E in particolare «qui dice: “Si aggira per luoghi deserti cercando sollievo” e dopo un tempo torna». Ma ecco la «sorpresa» di «tornare a casa» e trovarla «spazzata, adorna: l’anima di quell’uomo era in pace con Dio e lui non entra». Allora ne «cerca altri sette, peggiori di lui».
«Quella parola — peggiore — ha tanta forza, in questo brano» ha osservato il Pontefice. «E poi entra», dice Luca. Ma «come entra? Entra soavemente: bussa alla porta, chiede permesso, suona il campanello, torna educatamente». E «questa seconda volta sono i diavoli educati». Così «l’uomo non se ne accorge: entrano in sordina, incominciano a fare parte della vita, con le loro idee e le loro ispirazioni aiutano anche quell’uomo a vivere meglio e entrano nella vita dell’uomo, entrano nel suo cuore e da dentro incominciano a cambiare quell’uomo, ma tranquillamente, senza fare chiasso».
Tutto «questo modo», ha spiegato Francesco, «è diverso da quello della possessione diabolica che è forte: questa è una possessione diabolica un po’ “da salotto”, diciamo così». Ed «è quello che il diavolo fa lentamente nella nostra vita per cambiare i criteri, per portarci alla mondanità: si mimetizza nel nostro modo di agire e noi difficilmente ce ne accorgiamo». Così «quell’uomo, liberato da un demonio, diventa un uomo cattivo, un uomo oppresso dalla mondanità». Proprio «questo è quello che vuole, il diavolo: la mondanità».
Infatti la mondanità, ha rilanciato il Papa, «è un passo avanti — mi permetto la parola, tra virgolette — nella “possessione” del demonio. Mi viene alla mente l’aggettivo che Paolo ha detto ai Galati quando sono entrati su questa strada: “Sciocchi, o Galati sciocchi, chi mai vi ha incantato? A voi, agli occhi dei quali fu presentato Gesù Cristo crocifisso?”».
Dunque, ha affermato il Pontefice, «è un incantamento: è la seduzione, perché» il diavolo «è il padre della seduzione. Pensiamo cosa ha fatto con Eva: cominciò a parlare, soavemente, soavemente, soavemente», ed «è uscito con la sua “chi mai vi ha stregato?”». Ma «quando il demonio entra così soavemente, educatamente e prende possesso dei nostri atteggiamenti, i nostri valori vanno dal servizio di Dio alla mondanità». Così «siamo cristiani tiepidi, cristiani mondani e facciamo fare questa mescolanza, questa macedonia tra lo spirito del mondo e lo spirito di Dio». Tuttavia, ha messo in guardia il Papa, «non si può vivere così: questo allontana dal Signore, ma è troppo sottile».
Il punto, ha proseguito Francesco, è chiedersi «come si fa per non cadere in questo e per uscire da questo». La risposta è chiara: «Prima di tutto riprendo la parola “vigilanza”: non spaventarsi, come Isaia ha detto ad Acaz, “vigilanza e calma”», come a dire: «stai attento». Perché, ha spiegato, «vigilare significa capire cosa passa nel mio cuore, significa fermarmi un po’ ed esaminare la mia vita». A questo proposito il Papa non ha mancato di proporre le domande per un esame di coscienza personale: «Sono cristiano? Educo più o meno bene i miei figli? La mia vita è cristiana o è mondana? E come posso capire questo?».
Per rispondere bisogna far ricorso alla «stessa ricetta di Paolo: guardare Cristo crocifisso». Infatti «la mondanità si capisce dov’è, e si distrugge, soltanto davanti alla croce del Signore». Proprio «questo è lo scopo del crocifisso davanti a noi: non è un ornamento» ma «è proprio quello che ci salva da questi incantamenti, da queste seduzioni che ti portano alla mondanità».
Ecco che ritorna la domanda essenziale: «Io guardo Cristo crocifisso? Io, alle volte, faccio la via Crucis per vedere il prezzo della salvezza, il prezzo che ci ha salvato non solo dai peccati ma anche dalla mondanità?». E poi, ha proseguito, «come ho detto», serve «l’esame di coscienza» per verificare «cosa succede, ma sempre davanti al Cristo crocifisso la preghiera». Di più, ha aggiunto il Pontefice, «ci farà bene farsi una frattura, ma non alle ossa: una frattura agli atteggiamenti comodi: le opere di carità». In sostanza: «io sono comodo, ma io farò questo che mi costa». Per esempio «visitare un ammalato, dare un aiuto a qualcuno che ne ha bisogno: un’opera di carità». E «questo rompe l’armonia che cerca di fare questo demonio, questi sette demoni con il capo, per fare la mondanità spirituale».
In conclusione, il Papa ha invitato a pensare «a queste tre cose: Cristo crocifisso ci salverà da questi demoni educati, da questo scivolare lentamente verso la mondanità; ci salverà dalla sciocchezza, dalla seduzione. L’esame di coscienza ci aiuterà a vedere se ci sono queste cose. E le opere di carità, quelle che costano, ci porteranno a essere più attenti, più vigilanti perché non entrino questi personaggi che sono furbi». Infine, ha auspicato che «il Signore ci dia questa grazia e ci faccia ricordare l’aggettivo di Paolo: “sciocco”».