La nostra protagonista è Marta di Betania. Come mai questa scelta? La risposta si trova in Gv 11,27, dove Marta confessa la sua fede in Gesù. Una confessione di fede richiede la prima persona singolare: «Io credo». Tuttavia questo «io credo» non è una risposta istantanea, spensierata o gratuita. Tutt’altro, per dire «io credo» ci vuole un cammino, un processo, un tempo, una preparazione e un contesto/ambiente. «Io credo» sono parole personali e comunitarie allo stesso tempo perché la fede è un atto personale, ma anche comunitario. La fede è un atto che cresce e si sviluppa nella comunità. E Marta di Betania è un vero esempio di credente, di donna credente.
Nel vangelo di Giovanni Marta appare in due occasioni, e sempre assieme a sua sorella Maria: in Gv 11,1-44 (in connessione con la malattia, morte e risurrezione di Lazzaro, il loro fratello) e in Gv 12,1-8 (nell’episodio noto come l’unzione di Betania)1. Oggi ogni volta sono più numerosi gli autori e le autrici che identificano Marta e Maria come vere discepole di Gesù2.
MARTA E MARIA DI BETANIA NEI CONFRONTI DI GESÙ (Lc 10,38-42)
Inoltre, nel vangelo di Luca troviamo Marta e Maria in una pericope molto famosa e spesso mal interpretata o interpretata in maniera simplista e sbagliata. Mi riferisco a Lc 10,38-42. Vorrei fermarmi su questo brano, prima di riprendere il vangelo di Giovanni perché qui è Maria, e non Marta, colei che mostra un atteggiamento di vera discepola:
Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».
Secondo una lunga tradizione ecclesiale, questo racconto sarebbe rivolto soltanto alle donne: Marta e Maria rappresentano due forme di vita femminile, mentre gli uomini rimangono fuori dello scenario. Infatti, essi sono rappresentati da Gesù, il loro sposo (cfr. Ef 5). Da questa prospettiva, emergono due tipi di donne: la donna attiva al servizio delle cose degli uomini (specialmente dei maschi) e le donne contemplative al servizio di Dio. Questa divisione può essere utilizzata ad un certo livello, però risulta insufficiente non tanto per quello che dice ma per quello che tace. A mio avviso, nel racconto di Luca né Marta è una serva né Maria è una contemplativa. Esse rappresentano tipologicamente due atteggiamenti caratteristici non soltanto delle donne, ma delle donne in quanto segno visibile della comunità. Marta e Maria sono lo specchio della comunità composta da uomini e donne.
Marta è colei che accoglie Gesù in casa sua, in un piccolo villaggio, la qual cosa dice molto in favore di questa donna. Grazie all’accoglienza e all’ospitalità di Marta, il villaggio diventa un villaggio accogliente e ospitale che contrasta fortemente con il villaggio dei Samaritani, quelli che non ricevettero Gesù (cfr. Lc 9,51-56) e con le case-città che rifiutano i missionari di Gesù (Lc 10,10-12). Marta, come Zaccheo, accoglie Gesù (supponiamo anche essa piena di gioia, perché erano amici), però mentre Zaccheo parla direttamente con Gesù su certi problemi, Marta lo fa per mezzo di sua sorella. E qui cominciano i problemi. Ci troviamo di fronte a due sorelle messe a confronto a causa di un uomo, il che è frequente nella Bibbia e anche nella nostra storia. Pensiamo a Sara e Agar, una donna libera e una schiava, vincolate allo stesso marito, Abramo, il cui favore vogliono ottenere. Ricordiamo anche Lia e Rachele, due donne libere, due sorelle che litigano per l’amore dello stesso uomo: Giacobbe. O anche Pennina e Anna, due donne libere, una feconda e l’altra sterile, ambedue moglie di Elkana. Alla luce di queste storie possiamo capire meglio la tensione tra Marta e Maria, le due sorelle protagoniste del nostro racconto.
Maria appare in situazione di discepolo, cioè è seduta ai piedi del Signore (Kyrios) e ascolta la sua parola, così come i giudei che studiavano la Torah si sedevano attorno al loro rabbino per ascoltare e imparare i suoi insegnamenti. Maria ascolta il Maestro, però non parla, non pone delle domande, non fa delle obiezioni, non discute, soltanto ascolta. Essa riceve la parola e la conserva nel cuore, come faceva Maria la madre di Gesù in Lc 2,19.51. Ed è proprio questo silenzio di Maria, in quanto discepola, che ha fatto nascere un’altra interpretazione del nostro testo molto diffusa, però anch’essa parziale e un po’ tendenziosa. Marta e Maria rappresentano due attività femminili opposte e complementari allo stesso tempo, tutte e due segnate dal silenzio: l’attività svoltasi senza parole (Marta) e la parola ascoltata in silenzio (Maria).
Marta ha accolto Gesù, però quella che in realtà gli ha dedicato la sua attenzione e il suo tempo è stata Maria. Marta era distratta con tante cose da fare. Maria invece era concentrata sulle parole di Gesù. Alla distrazione di Marta si oppone l’attenzione di Maria, e al molto servizio di Marta si oppone la concentrazione di Maria. Quindi l’informazione del narratore presenta una connotazione negativa: in certe occasioni il troppo servizio può anche essere dispersivo. La reazione di Marta è immediata e si lamenta direttamente al Signore, perché si trova a dover fare tutto il lavoro da sola. Essa è distratta non per volere suo, ma perché deve portare tutto il peso del lavoro. Quindi, il problema di fondo è la molta, o meglio ancora, la troppa ‘diakonia’ non condivisa. Di fronte a Gesù le due sorelle entrano in conflitto, perché ambedue vogliono servirlo, benché in maniere diverse. E in certo modo, Marta ha ragione. Se il lavoro è condiviso, diventa più leggero e si finisce prima. Se Marta è distratta è per colpa di Maria che l’ha lasciata sola. “Dille dunque che mi aiuti”, dice Marta a Gesù, però questi non accede alla sua richiesta. Invece di rivolgersi a Maria per rimproverarla a causa della sua negligenza, Gesù risponde a Marta per aiutarla a riflettere, per darle un consiglio. L’atteggiamento di Marta è rischioso (cfr. 1Cor 13,1-3), perché si possono fare molte cose per Gesù, dimenticando l’essenziale, cioè l’ascolto della sua Parola.
La risposta del Maestro (“Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno”) ci ricorda un’altra delle sue sorprendenti risposte, questa rivolta alla donna che ha fatto un bel elogio di sua madre: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28). Una cosa sola è necessaria: cercare il Regno di Dio (Lc 12,31). E per trovarlo bisogna lasciare tutto, così come ha fatto Maria. Essa ha lasciato tutto e si è seduta ai piedi di Gesù per ascoltarlo. Maria è stata una donna libera, perché ha voluto scegliere e ha scelto la parte migliore. Nessuno ha scelto per lei. La iniziativa è stata tutta sua. Gesù non dice a Marta di continuare il lavoro, e nemmeno dice a Maria di continuare seduta ai suoi piedi, ma pone l’accento sul valore che ha l’ascolto personale della parola per ambedue le sorelle. Gesù non condanna Marta, ma le ricorda il rischio di vivere in una continua dispersione. Il troppo affanno per il servizio può separarci dalla Parola di Gesù che è la radice la fonte di ogni servizio.
Gesù vuole una risposta di Marta e una risposta di Maria. Se da una parte Marta è invitata a superare la sua angoscia per il lavoro e a sedersi accanto a Gesù per ascoltarlo, Maria, dopo aver ascoltato la sua parola, dovrà alzarsi per mettere in pratica la parola al servizio dei fratelli. Perché mai dobbiamo sempre separare Marta da Maria, l’azione dalla contemplazione, la diaconia dalla parola? Tutti noi, uomini e donne, siamo Marta e Maria, attivi e contemplativi, servitori e ascoltatori della Parola. Ognuno/a di noi in quanto singola persona è uno specchio della comunità3.
MARIA E MARTA DI BETANIA DI NUOVO NEI CONFRONTI DEI GESÙ (Gv 11,1-44)
Torniamo adesso a Gv 11,1-44 e specialmente alla confessione di fede di Marta. L’autore del quarto vangelo colloca questa confessione di fede in parallelo con quella di Pietro in Gv 6,68-69
Leggiamo anche il contesto:
Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici.
Un altro parallelo si trova in Mt 16,16. Anche qui leggiamo l’intero brano:
Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Nel nostro testo la confessione di Marta è inserita in un capitolo organizzato attorno al tema della vita e della morte. Il testo si muove tra la morte e la vita di Lazzaro che raffigura il dramma personale di Gesù. Colui che è la vita troverà presto la morte: infatti in Gv 11,45-54 (subito dopo il nostro testo), i capi dei Giudei condannano Gesù a morte. D’altra parte, la risurrezione di Lazzaro rispecchia in anticipo la risurrezione di Gesù. Già fin da adesso sappiamo che la Vita vincerà.
Questo dramma si svolge in un contesto familiare dove spuntano i vincoli di amicizia e fratellanza. Nella casa di Betania ci sono tre amici di Gesù: due donne, Marta e Maria, che sono sorelle e un uomo malato, Lazzaro, il fratello delle due donne. Lazzaro è esplicitamente menzionato come «amico» di Gesù (dalle sorelle in Gv 11,3: «Signore, il tuo amico è malato» e da Gesù in Gv 11,11: «Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato»). Il narratore si riferisce a lui con il termine
«fratello» (Gv 11,2.19). I tre fratelli amici di Gesù si scambiano i posti nella narrazione. Prima è nominato Lazzaro e poi le due sorelle (Gv 11,1), però più avanti Maria è nominata per primo (Gv 11,2), e più avanti ancora (Gv 11,5.19), Marta occupa il primo posto. Questi cambiamenti non sono gratuiti. Essi rivelano il proposito del narratore che offre una diversa prospettiva d’accordo con lo svolgersi della narrazione. Tutti e tre sono protagonisti, ma si alternano il protagonismo.
Il testo ci parla di persone concrete, con nome proprio, però in un secondo livello il testo allude alla comunità a cui è rivolto il vangelo. Vincoli relazionali, vincoli di amicizia, di amore tra le persone. Ed è proprio in questo contesto che Gesù compirà il miracolo di risuscitare Lazzaro e Marta farà la sua professione di fede. Quindi Fede-Vita-Amore (punti chiave della vita comunitaria) espressi nell’unità, reciprocità e uguaglianza. A partire da Gv 11,4 fino a 11,15 il narratore e le parole di Gesù anticipano quello che accadrà dopo e ciò significa che l’accento cade non sui risultati ma sul processo, sul cammino da percorrere.
Ambedue le sorelle, Marta e Maria, o Maria e Marta, si muovono, agiscono, parlano, chiedono aiuto, corrono, non si rassegnano alla morte del fratello, ma soprattutto interpretano i fatti accaduti, la realtà, le parole di Gesù. Questa loro interpretazione rivela la loro capacità di pensare e agire. Fanno il loro cammino piano piano, un passo dopo l’altro tentando di capire i piccoli segni. Malgrado il carattere definitivo della morte (già manda cattivo odore!), ancora c’è una porta aperta, ancora c’è speranza, ancora c’è un’altra possibile lettura: quella della ricerca, quella della fede. Marta fa un cammino nella sua esperienza di fede. Questa sua esperienza è interpretazione del senso della vita e della morte. Gesù può trasformare quello che in apparenza è già definitivo. Gesù può trasformare la morte in vita.
Marta è una donna realista. Suo fratello prima si ammala e poi muore. Questa è la realtà e Marta non si illude. Cerca Gesù e gli chiede aiuto. Gesù non si affretta ad intervenire, ma quando lei ormai non se lo aspettava più, ecco che venne a sapere che Gesù era arrivato sul posto. L’arrivo di Gesù è stato una vera sorpresa per Lei. In questo intervallo di tempo Marta non ha perso la capacità di sperare, di attendere, di ascoltare. Questa buona notizia la incoraggia a mettersi in cammino, perché essa vuole incontrare Gesù.
Nel testo c’è un chiaro contrasto nell’atteggiamento delle due sorelle. Marta gli andò incontro (Gv 11,20), mentre Maria stava seduta in casa. Marta si pone in cammino perché ha ascoltato, Maria non si muove perché ancora non ha ascoltato (Gv 11,28). Ascoltare e mettersi in cammino sono due atteggiamenti propri dei discepoli/e. Marta certamente si pone in atteggiamento di discepola. Marta va all’incontro di Gesù e l’incontro succede nel cammino, come tante altre volte nei vangeli. Gesù però è arrivato primo, come nel caso della Samaritana4. E proprio lì sul cammino avviene il dialogo, il dialogo teologico tra i due interlocutori: Gesù e una donna.
La fede di Marta, come la fede di ogni essere umano, è dinamica ed evolutiva. E Gesù rispetta questo dinamismo con i suoi ritmi e con le sue tappe. Allo stesso tempo, però, sa come incoraggiare, come attivare il dinamismo. E come riesce a farlo? Tramite la parola, il dialogo, il confronto. Con Marta Gesù non è molto esplicito all’inizio. Vediamo il dialogo da vicino.
La prima a parlare e Marta e nel suo primo intervento essa si lamenta perché ormai Lazzaro è morto. È una constatazione della realtà: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» (Gv 11,21). Aggiunge però una seconda parte dove emerge la sua speranza. Lei confida pienamente in Gesù: «Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà» (Gv 11,22). Marta pone la sua fede nelle mani di Gesù, nella sua intercessione. Gesù risponde con una frase ambigua: «Tuo fratello risusciterà» (Gv 11,23) che Marta, da buona credente, ribatte: «So che risusciterà nell’ultimo giorno» (Gv 11,24). Gesù non lascia passare l’occasione e aggiunge motivi nuovi affinché la fede di Marta possa continuare il suo processo di personalizzazione. Gesù e stato provocato e adesso insiste e, come nel caso della samaritana, Gesù si auto-rivela: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo?» (Gv 11,26). La domanda finale mostra il rispetto di Gesù verso Marta, verso il suo processo di fede, verso la sua libertà. E finalmente Marta fa la sua confessione di fede in prima persona: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo» (Gv 11,27).
La fede prima ha avuto luogo nella comunicazione e poi nel segno. Marta ha creduto prima del miracolo. Gesù si è rivelato a Marta, e Marta nella sua confessione di fede ha rivelato chi è Gesù per Lei. Non solo, Marta dice a Gesù quello che lui non ha detto di se stesso. La tradizione giovannea ha condensato in questa formula, in bocca di una donna, una serie di titoli che esprimono la interpretazione della comunità riguardo Gesù: il Signore, il Cristo, il Figlio di Dio, Colui che deve venire.
CONCLUSIONE
Marta dunque appare come una vera discepola di Gesù, una teologa, una donna che interpreta la Parola. Nel vangelo di Giovanni le donne compiono spesso questa funzione: Maria la madre di Gesù (s’interroga sulla condanna e sulla morte del figlio), la samaritana (vuole capire se stessa, capire Gesù, capire l’adorazione a Dio), Marta (riflette sulla morte di una persona cara) e Maria di Betania (offre una interpretazione regale della sepoltura di Gesù). Gesù parla con loro di teologia, stabilendo un dialogo teologico che ci stimola, ci incoraggia anche a noi a intraprendere questa strada ogni volta con più passione e dedizione e con la consapevolezza che il Signore ci guida per mano.
A cura della Prof.ssa Nuria Calduch-Benages, MN (U.S.M.I. Nazionale. Corso di Formazione, Roma, 25 febbraio 2008)
- 1 Per uno studio approfondito di questo brano, cfr. Nuria CALDUCH-BENAGES, Il profumo del Vangelo. Gesù incontra le donne (La Parola e la sua ricchezza 11), Milano, Paoline 2007, 81-105.
- 2 Cfr. Nuria CALDUCH-BENAGES, Il profumo del Vangelo, spec. 85-88.
- 3 Cfr. Nuria CALDUCH-BENAGES, “Due volti dentro di noi (Lc 10,38-42)”, Messaggero Cappuccino 43/3 maggio- giugno (1999) 73-74.
- 4 Cfr. Nuria CALDUCH-BENAGES, Dammi, Signore, il tuo sguardo. Riflessioni bibliche sulla vita consacrata, Roma, Editrice Rogate 2008, 105-116.