IL MELOGRANO
Dopo le molteplici espressioni di preghiera di questi giorni, rivolte in modo corale come una sola famiglia, mi ritornava alla mente un simbolo che può rappresentare questo nostro essere unità: il melograno.
Nella Bibbia è uno dei frutti che la terra promessa produce in abbondanza, garantendo la vita. La terra di Dio è ricca perché «terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; terra di ulivi, di olio e di miele» (Dt 8,8 ). Insieme all’uva e ai fichi, la melagrana è anche il frutto che i dodici esploratori portarono a Mosè, dopo aver ispezionato la terra nella quale stavano per entrare: «Giunsero fino alla valle di Escol e là tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi» (cfr. Num 13,23).
Esso diventa segno di benedizione e d’abbondanza da parte di Dio, tanto da essere decoro del Tempio Santo (cf. 1 Re 7, 18.20) e delle vesti del sommo sacerdote: «Farai sul suo lembo melagrane di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto, intorno al suo lembo, e in mezzo disporrai sonagli d’oro: un sonaglio d’oro e una melagrana, un sonaglio d’oro e una melagrana intorno all’orlo inferiore del manto» (Es 28,33-34). A tal proposito, il libro del Siracide ricorda la gloria sacerdotale che Dio conferisce ad Aronne: «Lo avvolse con melagrane e numerosi campanelli d’oro all’intorno» (cfr. Sir 45,9).
Nella Sacra scrittura, il melograno riveste una grande carica simbolica, divenendo figurazione della benedizione dell’alleanza con Dio. Nel Cantico dei Cantici è simbolo dell’amore fecondo e dell’intensa relazione tra l’amato e l’amata (cf Ct 6,11). L’amato scorge nel melograno, frutto ricco di semi e di colore rosso (colore della passione), l’immagine della sua amata che come sposa feconda, piena di vita, dona «gioia al cuore». Da qui il melograno diventa simbolo di un amore fecondo, donato; amore che si fa nutrimento per l’uomo!
Nella tradizione e nella mistica cristiana, il frutto assume molteplici significati. Oltre ad essere figura della regalità di Cristo e segno del sangue versato sulla croce, esso diventa figura della Chiesa: «Per mezzo del tuo Figlio, splendore d’eterna gloria, fatto uomo per noi, hai raccolto tutte le genti nell’unità della Chiesa. Con la forza del tuo Spirito continui a radunare in una sola famiglia i popoli della terra, e offri a tutti gli uomini la beata speranza del tuo regno. Così la Chiesa risplende come segno della tua fedeltà all’alleanza promessa e attuata in Gesù Cristo, nostro Signore» (Preghiera Eucaristica V/d).
Come il melograno è composto da tanti semi, così la Chiesa è formata da tanti uomini.
Per questi motivi l’iconografia medievale e rinascimentale usava spesso rappresentare Gesù infante con in mano il melagrano, a significare sia l’Amore che si dona, sia il Sacrificio della croce. Ancora più significativa è la scena raffigurata nella “Madonna della melagrana” del Botticelli, il frutto aperto con la pienezza dei suoi chicchi è sostenuto dalla mano della Vergine e da quella di Gesù benedicente. Mi piace vedere in questa scena la Chiesa, tutti noi, sostenuti da Maria e protetti da Gesù, che con la sua benedizione continua a dire oggi: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
A cura di don Bartolomeo de Filippis – su Facebook
NOTE
La Madonna della melagrana è un dipinto a tempera su tavola (diametro 143,5 cm) di Sandro Botticelli, datato 1487 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
L’opera è una delle poche databili della produzione matura di Botticelli. Resta infatti una menzione del Milanesi circa la commissione di un tondo con la Madonna col Bambino, avvenuta nel 1487 da parte della magistratura fiorentina dei Massai di Camera per decorare la propria Sala delle Udienze, che si trovava in Palazzo Vecchio. L’identificazione con la presente opera spetta a Herbert P. Horne, che riconobbe sulla cornice, fatta dalla bottega di Giuliano da Sangallo, la decorazione a gigli di Francia in campo azzurro, ipotizzando per questo una possibile collocazione pubblica dell’opera, celebrante la storica alleanza coi Francesi.
L’impossibilità però di rintracciare il documento originale ha fatto sorgere qualche dubbio in una parte della critica. Se l’autografia botticelliana non è mai stata messa in dubbio, la cronologia è più variata. Alcuni, come Ulmann, propongono prima del 1480, altri come Arnold Bode (seguito da Schmarsow, Yaschiro e Venturi) datano l’opera a dopo il rientro da Roma (1482 circa), infine Van Marle al 1480-1481.
Dell’opera esistono varie copie di bottega, oggi agli Staatliche Museen di Berlino, alla collezione Aynard di Lione e alla collezione Wernher di Londra (benché quest’ultima nel marzo del 2019 sia stata ricondotta nel novero delle opere del Maestro da parte degli esperti dell’ente britannico English Heritage[1]).
Strette sono le affinità con la Madonna del Magnificat, sempre agli Uffizi, che in genere è datata a qualche anno prima, verso il 1485. Oltre al simile formato ed alle analogie stilistiche ricorrono nelle due opere le stesse tipologie fisiognomiche negli angeli, nel volto della Madonna e nel Bambino.
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