M. Anna Maria Cànopi – Il pudore: velo del sacro

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Contemplando il cielo stellato, lo sguardo vorrebbe spingersi oltre, sempre oltre, per vedere dove l’universo inizia e dove finisce, ma ci si deve arrendere davanti ad un mistero insondabile che ci mette in silenzio di umiltà e di adorazione: l’infinito. Dio Creatore ha infatti lasciato una traccia della sua bellezza in ogni creatura rendendola sacra e inviolabile, inaccessibile nella sua intima essenza. C’è come un divieto che ci trattiene al di qua della soglia segreta. È forse questo il pudore?

Nella creatura umana, fatta a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), è ancor più evidente la traccia del divino. E là dove è presente il mistero della divina santità e bellezza c’è un velo che nasconde e insieme lascia trasparire la trascendente e ineffabile realtà che è Dio stesso. Anche l’uomo è un universo sconfinato che custodisce il suo segreto. Ancora viene da chiedersi: È forse questo il pudore?

Comunemente, quando si parla di pudore, si pensa ad un sentimento che riguarda la sfera sessuale. Se inteso in questo senso, bisogna ammettere che la società del nostro tempo – in cui tutto è esposto, pubblicizzato in parole e immagini non solo impudiche, ma persino oscene – è irrimediabilmente spudorata e dissacrata. Se, infatti, l’uomo e la donna sono considerati soltanto nella materialità dei loro corpi, fatti oggetto di possesso e di piacere, nulla rimane della loro dignità: sono cose, come le tante cose da comprare e vendere sul mercato del consumismo. E che cosa si può sperare per il futuro se si considera che vi sono genitori i quali, per educare i loro bambini a crescere senza “tabù” in riferimento al sesso, si mostrano a loro completamente nudi e li costringono a stare completamente nudi anche davanti a gente estranea? Non è dissacrare il corpo esponendolo tutto alla concupiscenza degli sguardi? Tanto più preoccupante è il fatto che questa è la cultura dei mass-media usati su larga scala, non soltanto come mezzi d’informazione e di sana cultura, ma spesso anche come mezzi di corruzione. Basti pensare alla trasmissione televisiva del Grande fratello. Parlo solo per sentito dire, perché non ho mai visto una televisione!

Stando così le cose, è possibile avere il coraggio di affrontare questo argomento, oggi, e di fare l’elogio del pudore in un clima di esteriorità e di esibizionismo erotico che arriva spesso al parossismo? Ci proviamo, invocando la luce dello Spirito che dell’uomo scruta le reni e i cuori (cfr. Sal 139,1.23).

Innanzitutto va detto che il pudore riguarda tutta la persona nella sua integrale unità fisica e spirituale. Si può dire che è ad essa connaturale. La Sacra Scrittura ci presenta varie icone del pudore. A questo proposito merita particolare attenzione un suggestivo episodio che si legge nella libro della Genesi:

«Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli. Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello. E disse al servo: “Chi è quell’uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?”. Il servo rispose: “È il mio padrone”. Allora ella prese il velo e si coprì» (Gen 24,63-65).

La giovane figlia di Betuel, condotta dalla terra di Carran alla terra di Canaan per diventare sposa di Isacco, figlio di Abramo, nel primo incontro con lui cela dietro il velo la bellezza del mistero dell’amore che sta per diventare evento nuziale. È da notare che la femminilità risulta particolarmente portatrice di questo mistero generatore di vita e velato dal pudore.

Anche nel libro del Siracide – che raccoglie in forma poetica le più belle sentenze sapienziali – viene presentata la donna perfetta elogiandone le virtù del silenzio e del pudore: «È un dono del Signore una donna silenziosa, / non c’è prezzo per una donna educata. / Grazia su grazia è una donna pudica, / non si può valutare il pregio di una donna riservata» (Sir 26,14-15).

Significativa a riguardo del senso del pudore, unito a santo timore, è la visione teofanica di Mosè sul monte Oreb, davanti al roveto ardente: «Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”. Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio» (Es 3,2-6).

Non ci si può avvicinare alla trascendenza, alla santità di Dio se non in purezza e umiltà di spirito. Il pudore appartiene, dunque, alla sfera del sacro; non è da confondersi con la vergogna, che è un sentimento relativo al peccato.

Adamo ed Eva si nascosero, infatti, allo sguardo di Dio, perché si vergognavano di essere visti dai suoi occhi puri, dopo la colpa che li aveva denudati della loro bellezza e aveva offuscato l’innocenza con la caligine della superba disobbedienza insinuata dall’astuto tentatore. Essi ormai sentivano Dio estraneo alla loro vita e perciò erano presi dalla paura. Tuttavia, nonostante la frattura causata dalla colpa, la persona umana porta in sé un tesoro nascosto che soltanto Dio conosce e davanti al quale è dovuto il massimo rispetto, anche quando la stessa persona sembra non avere consapevolezza del proprio valore trascendente e della propria dignità.

Il segreto dell’interiorità di ogni persona è noto soltanto a Dio; perciò come gli scienziati non sono ancora giunti e forse mai razionalmente arriveranno a conoscere la formula segreta del cosmo, così anche gli esperti della più perspicace scienza psicologica non possono presumere di decifrare il mistero della persona, nonostante gli sviluppi di tale scienza.

Il senso del pudore apre la soglia soltanto all’intuizione dell’amore, a quella conoscenza che è propria dello Spirito Santo in noi.

Sant’Agostino, passando dal livello del sapere filosofico a quello della mistica, scriveva: «Anche se nessun uomo sa le cose che sono nell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui, tuttavia c’è qualcosa dell’uomo che neppure lo spirito dell’uomo sa, ma tu, Signore, che l’hai creato, sai tutto di lui. Confesserò dunque ciò che so di me, confesserò anche ciò che di me ignoro, perché ciò che so di me, lo so per tua illuminazione, e quanto ignoro di me, lo ignoro fino a quando le mie tenebre non diventeranno come il meriggio nel tuo volto» (Conf., X,5.7). Nello stesso senso il Santo di Ippona scriveva: «Tu eri a me più intimo di me stesso…» (cfr. Conf., III,6.11).

L’uomo ha dentro di sé, in certo modo, il “roveto ardente” al quale egli stesso deve accostarsi a piedi nudi, con pudore riverenziale, poiché il pudore richiama al mistero di Dio e all’innocenza.

Si può forse affermare che è proprio il pudore a custodire l’unicità e l’inviolabilità della persona. Ogni uomo è unico e irripetibile, a tal punto che pure nel matrimonio sussiste questo mistero della persona; l’amore, infatti, crea comunione nella diversità complementare delle persone, ma non cancella l’altro, anzi, lo potenzia. Nella comunione l’amore fa crescere l’altro, lo rende, se si può dire, “più persona”. Il pudore, dunque, è custode della santità dell’amore e del rispetto riverenziale che si deve avere in ogni rapporto umano. Perciò non è forse eccessivo affermare che c’è una “mistica del pudore”, un’esperienza che prepara alla contemplazione del Volto di Dio, il Volto dell’Amore che sarà a noi pienamente svelato soltanto nella vita eterna.

A questa visione si può giungere solo accettando di camminare avvolti nel velo del mistero, procedendo nella luminosa oscurità della fede. Ma questo non è facile: richiede ascesi, dominio degli istinti passionali, affinché ciò che è connaturale alla persona sia coscientemente accolto e assunto come stile di vita, e si pervenga così a quella limpida interiorità che dona purezza allo sguardo.

Allora tutte le persone e persino le cose non sono più soltanto conosciute esteriormente, come oggetti, ma sono reali incontri con il mistero divino che mette in silenzio di stupore e di adorazione.

Icona del pudore, di bellezza incomparabile, è la Vergine Maria: immacolata, ignara di sé, umilissima, ella è la creatura nella quale la bellezza divina risplende in pienezza.

L’atteggiamento di Maria davanti all’angelo che le annuncia l’incarnazione del Verbo ci mostra un pudore che è riservatezza, silenzio, umiltà e trasalimento di sorpresa cui segue la timida domanda:

«Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34).

Anche la visita di Maria ad Elisabetta è una splendida icona di casto pudore. Le due madri, benedette da Dio, piene di stupore e di gratitudine, si abbracciano e si riconoscono benedette per i figli la cui vita palpita nel loro grembo che traspare sotto le ampie vesti.

Sempre icona di pudore è Maria accanto a Gesù, dalla nascita fino alla morte in croce, poiché il suo umile, silenzioso servizio alla vita umana del Figlio di Dio è tutto un mistero che mai si svela. Maria è, nella sua esistenza terrena, la donna sempre velata. La sua grandezza, che non appare mai agli occhi degli uomini, raggiunge il suo culmine sul Calvario, sotto la croce, dove la sua materna com-passione è celata da un pianto silenzioso, da lacrime versate nell’intimo del cuore.

Sempre e ovunque Maria è l’icona del pudore, poiché tutto quanto avviene in lei è avvolto di umiltà e di silenzio, visto soltanto dallo sguardo di Dio. C’è, infatti, un modo pudico di soffrire, una riservatezza che custodisce vergine il dolore sia fisico che morale e spirituale. Questa riservatezza fortifica interiormente e tiene l’animo nella compostezza e nella pace, proprio come la si può contemplare nell’icona della Madre Addolorata sotto la croce.

A questo punto non dovremmo saper scorgere anche un sacratissimo pudore in Dio stesso, nel suo modo di rivelarsi agli uomini in Gesù Cristo, Verbo divino fatto uomo? Dio eterno, egli nasce avvolto nell’umana carne; vive tra gli uomini tenendo segreto il suo essere Dio; muore esposto al ludibrio, svuotato della sua divina gloria, che non si svelerà pienamente nemmeno dopo la risurrezione apparendo alle pie donne e agli apostoli. In Lui il pudore è il velo del grande mistero della Bellezza, dell’Amore totalmente gratuito e immolato per la salvezza del mondo.

È Lui, icona dello splendore del Padre oscurata dal mistero della Croce, a consacrare la sofferenza dei credenti. Molte sono, infatti, le persone – più frequentemente umili e povere – che sanno portare in silenzio, con pudore, grandi sofferenze fisiche, morali e spirituali.

Quale contrasto con il macabro gusto di fare delle morti più tragiche uno spettacolo per un pubblico di ogni genere ed età! Così avveniva al Colosseo, quando l’atroce martirio dei cristiani era un ludus, un divertimento offerto al popolo.

Quando il pudore custodisce il  dolore  nel  segreto della  coscienza – tacite conscientia, dice san Benedetto (RB 7,35, quarto grado della scala dell’umiltà) – avviene una profonda empatia con il vergine patire di Gesù Cristo che si è fatto un tutt’uno con la debolezza dell’umana natura; allora sul volto del sofferente traspare la pace interiore, tutto il suo essere emana il «buon profumo di Cristo», ciò che è avvenuto negli stessi martiri e in modo eminente in Maria, Regina dei martiri. L’Apostolo perciò esorta i cristiani ad offrire i loro «corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio», come culto spirituale e a non conformarsi alla mentalità del mondo, ma a pensare, a discernere e a scegliere ciò che è buono, a Dio gradito e perfetto (cfr. Rm 12,1-2).

C’è, dunque, una “mistica del pudore” che è spesso legata alla sofferenza, al mistero della croce, quindi vissuta in comunione con il Cristo e offerta con amore per tutti gli uomini bisognosi di salvezza. Si pensi ai santi che, ricevute le stimmate delle piaghe di Gesù, le hanno pudicamente tenute nascoste per custodire vergine la loro mistica unione con il Crocifisso.

E c’è anche un pudore nel fare il bene senza ostentazione. Penso alla povera vedova che, nascostamente, mette i suoi spiccioli nel tesoro del tempio… e penso a tante persone delle quali soltanto dopo morte si scopre l’immensa generosità nell’aiutare materialmente e spiritualmente il prossimo.

E che dire del pudore nella preghiera? Viene subito davanti agli occhi l’atteggiamento del fariseo e del pubblicano nel tempio (Lc 18,1-14) e di tutti quelli che – come dice Gesù – entrano nel segreto del loro cuore, soltanto sotto lo sguardo di Dio (cfr. Mt 6,5-6).

In definitiva ogni forma di pudore ha le sue radici nell’umiltà e riceve dalla Croce il suo valore e la sua fecondità. E come dalla Croce si sprigiona la gioia della risurrezione, così dal silenzioso dono di sé scaturisce l’indicibile gioia di essere “nascosti con Cristo in Dio” (cfr. Col 3,3), pellegrini nell’oscurità della fede verso la celeste Gerusalemme, là dove vedremo svelatamente Dio, e in Lui, nel suo splendore, vedremo noi stessi: allora sapremo. Sapremo tutto ciò che ora è custodito dal velo del pudore.

Bibliografia

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