L’immagine del buon pastore era ben nota agli ascoltatori di Gesù. Nell’antico Testamento, Mosè e Davide, prima di essere chiamati da Dio a essere i pastori del loro popolo, erano stati pastori di greggi. Successivamente, durante l’esilio, Ezechiele aveva parlato di Dio stesso come pastore del suo popolo: “Come un pastore passa in rassegna il suo gregge (…), così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine” (Ez 34, 12). Gesù annuncia che quel giorno è arrivato. Egli stesso si presenta come il buon Pastore. Egli è Dio fatto uomo che veglia sugli uomini, che li riunisce in una famiglia, la famiglia dei figli di Dio, che li ciba del proprio corpo perché abbiano la vita eterna.
In questo discorso del buon Pastore, Gesù si manifesta per quello che è, e ci dice dove vuole condurci. Vuole che diventiamo anche noi buoni pastori nella vita di ogni giorno. Gesù, riguardo il vero pastore, dice tre cose: dà la sua vita per le pecore; le conosce ed esse conoscono lui; e viene perché vivano nello stesso gregge, nella stessa famiglia[1].
Innanzitutto, il pastore dà la sua vita per le sue pecore.
Il mistero della Croce è al centro della vita di Gesù. Cristo si spoglia della sua dignità, della sua gloria divina, si mette nei nostri panni – quelli dell’umanità, del dolore, della sofferenza, della solitudine, dell’abbandono, facendosi simile a noi in tutto, meno che nel peccato –, si lascia umiliare fino alla morte in Croce e, così, si dona a ciascuno di noi. In ogni Eucaristia troviamo proprio Lui, Cristo buon Pastore che si fa pienamente presente, ci prende nelle sue mani piagate, ci benedice, ci solleva, ci prende ogni volta sulle spalle e ci dà se stesso come cibo. E, lo fa proprio per noi, per entrare nel più intimo della nostra realtà umana, per condividere tutta la nostra esistenza e guarirla. In ogni Eucaristia ci dà il suo corpo che viene donato e il suo sangue che viene versato. Ci dona la sua capacità di donarsi sino alla fine. L’Eucaristia non finisce con la comunione. Vuole che viviamo ogni giorno con il cuore di carne viva: vuole che diamo la vita per gli altri.
In secondo luogo, il pastore conosce le sue pecore e le pecore conoscono lui.
La conoscenza di Gesù non è una conoscenza formale. Il rapporto che vuole avere con noi non è un rapporto ordinario, impersonale, arido. È una relazione d’amore, una conoscenza che viene dal cuore. Gesù ci conosce, ci tiene nel suo cuore. Un cuore piagato, trafitto d’amore, che ci grida “non nasconderti, vieni da me, non ti stancare, toccami, ti amo”. E, quando ci avviciniamo a Lui, quando entriamo nel suo cuore, ci dà il suo, affinché possiamo sentire con il suo stesso cuore.
Ci chiede di amare anche noi come fa Lui, di conoscere gli altri come Lui: con il cuore. Nell’Eucaristia ci dà il suo corpo affinché possiamo amare con il suo cuore.
Infine, il pastore raccoglie all’unità.
Cristo non è morto per pochi, è morto per tutti gli uomini di ogni tempo. E continua a farlo ogni giorno e ci cerca. Nel bel mezzo della nostra vita, delle nostre strade e piazze, quando stiamo lavorando o riposando, quando siamo in famiglia o con gli amici, nei nostri dolori e nelle nostre sofferenze, nei nostri successi e nei nostri fallimenti. Proprio lì dove viviamo, per vivere con il cuore di Gristo. In ogni Eucaristia, ci mette nel suo cuore sacerdotale, per lodarlo, ringraziarlo, chiedere perdono e grazie. Ci dà un cuore cattolico, universale. Il buon pastore dà la vita, conosce con il cuore, raccoglie nell’unità.
Così è Gesù e così vuole che siamo anche noi. Soltanto così possiamo conoscere la libertà vera, quella dei figli di Dio, la libertà di Cristo Gesù, la libertà di una dedizione generosa.
Gesù, che è la gioia, cambia il mondo con la sua donazione e, noi con essa, abbiamo la gioia per cambiare il mondo.
[1] Cfr. Benedetto XVI, Omelia nella Santa Messa di Ordinazione Sacerdotale, 7 maggio 2006.
Fonte: La pagina Facebook di “Opus Dei Italia” | Sito Web con tutti i commenti al Vangelo
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