Dove siamo noi? Nel mistero di Dio
In principio era una relazione. C’erano un discorso e un rapporto d’amore tra Dio e la sua parola, tra il Padre e il Figlio, una relazione talmente densa e reale da essere chiamata Persona: lo Spirito Santo. Tutta la creazione, tutti noi siamo dentro quella relazione d’amore, eterna e infinita, tra il Padre e il suo Logos. Tutto è stato creato così. Dopo il prologo del Vangelo di Giovanni, la domanda più importante del cristianesimo non è «dove si trova Dio?», ma «dove siamo noi?». E qui abbiamo la risposta: noi, tutti noi, l’universo e le sue galassie, tutto ciò che è stato e ciò che sarà, siamo dentro il seno del Padre, siamo continuamente generati da quella relazione d’amore tra Dio e il suo Logos.
Ecco perché «Dio nessuno lo ha mai visto»: non lo possiamo vedere perché siamo dentro di lui, perché siamo contenuti e custoditi dentro una danza meravigliosa. E se potessimo guardare nel fondo del fondo della Trinità, al centro di quella “circolazione” mirabile vedremmo il nostro volto, come ci ha svelato Dante in una delle vette più alte della tradizione poetica e teologica dell’Occidente: «Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che ’l mio viso in lei tutto era messo» (Paradiso, canto XXXIII).
Siamo dunque talmente avvolti che finché non usciamo da lui non lo possiamo vedere; come il bambino nel seno materno: sente, intuisce che è dentro una madre, ma per vederne il volto deve nascere nel pianto, deve “morire” per rinascere a una nuova vita. Tutto ciò è luminoso ed è mistero. Lo vediamo chiaramente, eppure ci resta nascosto. «Adoro Te devote, latens deitas», iniziava così una delle prime laudi al Corpus Domini, scritta forse da san Tommaso d’Aquino. Vediamo di fronte a noi il Santissimo, lo crediamo, lo tocchiamo, lo adoriamo, diventa nostro pane. Eppure resta divinità nascosta (latens deitas), perché se non fosse anche nascosta quella nostra adorazione si tramuterebbe nella più perfetta delle idolatrie.
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