Le parole della benedizione di Anna
Giuseppe e Maria, per adempiere la Legge ebraica, si recano con Gesù al tempio di Gerusalemme. Offrono, come tutti, un sacrificio: «due tortore». È il sacrificio dei poveri, che sostituisce il più oneroso agnello. È l’inizio di una storia di povertà che culminerà con la beatitudine più bella – «beati i poveri» – e con la povertà assoluta del Golgota.
Di questa scena, amatissima dalla gente, colpiscono molti dettagli. Simone e Anna sono due vecchi. È molto bello che siano due anziani a lodare il bambino. A dirci che la saggezza dei vecchi sta anche nella loro capacità di sentire il soffio dello spirito, di saper vedere nei bambini i segni della loro vocazione. Soprattutto le donne anziane hanno questo dono.
Simeone è giusto e pio. Anna, invece, è una profetessa. È molto bello trovare i profeti rappresentati da una donna, una profetessa erede delle poche e meravigliose profetesse della Bibbia – Myriam, Debora, Hulda. C’è infatti un’amicizia profonda tra la profezia e le donne. Entrambe sono concrete, attivano processi e non occupano spazi, parlano con la parola e con il corpo. Per un istinto invincibile scelgono sempre la vita, le credono e la celebrano fino all’ultimo soffio. I profeti e le madri ospitano e generano una parola viva che non controllano, offrono il corpo perché il figlio-parola diventi carne senza diventarne i padroni.
Le donne hanno una particolare familiarità con la morte, perché hanno una speciale intimità con la vita. Forse perché da millenni hanno custodito la casa, dove hanno imparato le relazioni primarie mentre gli uomini si esercitavano nell’arte della guerra e si dedicavano all’economia delle relazioni produttive. Le donne sono diventate esperte di vita e di morte, insieme. Hanno lavato e vestito i propri bambini e i propri morti, accudito ferite che raramente guarivano, apparecchiato lo stesso letto, l’unico grande della casa, oggi per un parto e domani per la camera ardente di un genitore. La morte non è il loro nemico più grande. Le donne muoiono molte volte nel corso della loro vita, umiliate e schiacciate da parole e gesti sbagliati, e così quando la morte arriva la sanno chiamare «sorella».
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