All’interno del Prologo più teologico dei quattro Vangeli, costruito sul concetto strabiliante del logos che diventa carne, troviamo incastonata, come perla, la gura di Giovanni Battista. Lo troviamo lì perché l’interpretazione della vocazione di Giovanni è stata decisiva in rapporto a quella di Gesù. Cosa “testimonia” Giovanni?
Innanzitutto Giovanni è il simbolo dell’intero Antico Testamento che attende il messia. Ma è soprattutto immagine dei profeti, e tra i profeti di Elia, che ha sempre avuto un posto speciale nel cuore di Israele. In Giovanni abbiamo l’icona del popolo che attende, che riconosce, che testimonia, che annuncia l’arrivo di un messia che non è lui.
Non è stata facile la coesistenza tra la comunità dei discepoli del Battista e quelli di Gesù. In certi momenti sono anche entrati in concorrenza tra di loro. Ma i quattro Vangeli, concordi, ci dicono che Giovanni era una “voce” vera, che non era un falso profeta. Aveva un carisma sussidiario e ancillare, ma aveva un carisma autentico.
Lui battezzava con acqua, e non “in Spirito” (come farà Gesù), ma quell’acqua era vera, quel battesimo diverso era comunque un atto vero, non era un inganno né vanità. La prima comunità ha fatto fatica a trovare il giusto posto a Giovanni nell’economia della salvezza. Lo vediamo già nel suo primo interrogatorio e lo ritroveremo in tutto lo sviluppo della sua vicenda. Per la maggior parte dei suoi contemporanei, forse anche per Gesù, è il profeta Elia ritornato, per molti un grande profeta. Per tutti una “voce” che testimonia che il messia è arrivato.
Hans Urs von Balthasar, il grande teologo svizzero, ci ha insegnato che nelle figure della Chiesa primitiva ci sono alcuni profili o princìpi che valgono per comprendere la natura della Chiesa di ogni tempo. Quale dinamica ci svela allora il rapporto tra Giovanni e Gesù?
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