Spiritualità e politica possono apparire a uno sguardo superficiale come due dimensioni estranee l’una all’altra o perfino antitetiche. Tuttavia se, come avviene in questo libro, intendiamo “spiritualità” nel senso – non religioso e ancor meno confessionale – di ricerca e costruzione del senso del vivere, comprendiamo che essa riguarda ogni singolo individuo colto nella sua unicità e originalità e anche la collettività che gli umani costruiscono e pertanto costituiscono. Chiamato a divenire se stesso, ogni uomo ha anche il compito di costruirsi in relazione con gli altri, di costruire dunque un “noi”, ed ha la responsabilità di costruire non solo “con”, ma anche “per” gli altri la casa comune. La responsabilità per gli altri è direttamente la responsabilità per il futuro e per le generazioni future.
Il percorso del libro parte dalle riflessioni di Hanna Arendt sul “tra” come luogo di origine della politica per mostrare come questo sia anche lo spazio proprio dello spirituale. Il “tra”, ovvero lo spazio dialogico dell’uomo con se stesso, è l’ambito della vita interiore, l’invisibile luogo che pone le basi di una parola affidabile e di un’azione ponderata, luogo oggi non scontato e soprattutto poco frequentato. Se è difficile vivere con gli altri, oggi appare particolarmente problematica quell’arte che i padri medievali chiamavano vivere secum, abitare se stessi. Più frequente e diffusa, come ha notato l’antropologo David Le Breton, la spinta a fuggire da sé, vista da questo autore come tentazione emblematica dei nostri tempi 1. Coltivare l’interiorità è il primo passo per la costruzione e per la partecipazione feconda alla vita della polis, perché luogo dove si forgia la libertà, dove si elabora la convinzione che conduce a scelte e decisioni, dove matura la forza di dire di no, dove si pensa l’oggi e si immagina il futuro. Per questo il libro sottolinea l’immaginazione, la creatività e il coraggio come facoltà dello spirito umano da sviluppare particolarmente oggi per affrontare le sfide della politica. E per dare radici profonde, spirituali, a quell’azione politica che spesso oggi è asfittica, senza respiro, derubata del tempo necessario al lavoro della concertazione, strangolata dalle pressioni della comunicazione immediata e dell’informazione non-stop, e sottomessa alla tirannia del breve termine, della scadenza elettorale.
Il legame tra spirituale e politico trova un elemento decisivo nella parola. E proprio l’arena politica, nazionale e internazionale, mostra oggi come la parola abbia bisogno di ritrovare il suo statuto fondante l’umano e la sua capacità di attraversare i conflitti in maniera non violenta attraverso l’arte del dialogo. L’intero libro è attraversato dal riferimento alla lezione di Max Weber e al suo celebre ritratto dell’uomo politico che mostra che la qualità della politica è anche direttamente legata alla qualità umana di chi si impegna in essa, alla sua profondità, alla sua capacità di governare se stesso, di mettere ordine nel proprio caos interiore, di saper soffrire e sopportare le avversità. Come i profeti biblici che, spesso nella solitudine e nell’emarginazione, nel misconoscimento e nell’opposizione, in situazioni storiche di tenebra, hanno saputo creare futuro e dare speranza grazie alla loro immaginazione e alle loro parole, alla loro fede e alla loro convinzione. E la speranza ha il suo effetto nell’oggi, produce la sua efficacia nel presente aiutando gli esseri umani a vivere, a orientarsi e a camminare insieme. Nel tempo e nel luogo che sono stati dati loro in sorte.