Credere lโincredibile
La pericope evangelica della XXXII domenica dellโOrdinario presenta una controversia tra Gesรน e i Sadducei circa la fede nella resurrezione (Lc 20,27-38). I sadducei erano rappresentanti di quel movimento aristocratico-sacerdotale che si caratterizzava per una stretta interpretazione della sola Torah scritta, prescindendo dalla Torah orale che il movimento farisaico faceva risalire anchโessa al Sinai. Pertanto, non trovando nella Torah scritta affermazioni esplicite circa la resurrezione, i Sadducei, a differenza dei farisei, non credevano alla resurrezione. Non a caso, anticipando lโargomento della discussione, Luca accompagna lโingresso in scena dei Sadducei (e si tratta dellโunica e sola volta in cui i Sadducei compaiono nel terzo vangelo) con lโinciso: โi quali dicono che non cโรจ resurrezioneโ (v. 27).
Il testo presenta una prima parte in cui i Sadducei pongono a Gesรน un caso studiato a tavolino che si conclude con una domanda (vv. 27-33) e una seconda che presenta la risposta di Gesรน (vv. 34-38). Essi sottopongono a Gesรน il caso – una finzione costruita ad arte -, di sette fratelli che sono morti senza lasciare figli dopo avere sposato in successione la stessa donna. Questa sorta di esercitazione scolastica, viene giocata dai Sadducei per mettere in ridicolo la credenza nella resurrezione dei morti. Essi espongono ciรฒ che dice la Torah (v. 28), quindi narrano la storiella dei sette fratelli e della donna (vv. 29-32) e infine pongono una domanda a Gesรน (v. 33). Il fine รจ quello di mettere in ridicolo la fede nella resurrezione. Essi citano la legge sul levirato come espressa in Dt 25,5-6. Essa dice che il fratello di un uomo sposato che muore senza avere figli, sposerร la vedova e il figlio primogenito che nascerร โandrร sotto il nome del fratello morto, perchรฉ il nome di questi non si estingua in Israeleโ.
La storia dei sette fratelli e della loro identica sorte โ morte senza figli โ, a cui segue la morte della donna stessa, sfocia nella domanda che dovrebbe mettere con le spalle al muro il loro interlocutore e mostrare lโassurditร della credenza nella resurrezione, o almeno i problemi che arriva a comportare: โLa donna dunque, alla resurrezione, di chi sarร moglie? Poichรฉ tutti e sette lโhanno avuta in moglieโ (v. 33). Prima di esaminare la risposta di Gesรน ci possiamo interrogare sulla dimensione ermeneutica del testo. Come questa storiella fittizia e anche grottesca riguarda il credente oggi? Cosa ci dice, se ci dice qualcosa? In realtร , il problema centrale del testo, la fede nella resurrezione, tocca da vicino lโuomo dโoggi e anche i credenti.
Oggi alla posizione โcoltaโ che critica il cristianesimo che con la resurrezione dimostrerebbe di non saper abitare il tragico come gli antichi greci, e a quella che vede nella resurrezione unโevasione nellโaldilร , un inverificabile happy end consolatorio apposto alla drammaticitร della storia, si affiancano la reticenza e lโimbarazzo che spesso abitano gli stessi credenti di fronte alla fede nella resurrezione. A volte non siamo poi cosรฌ distanti dalle posizioni dei Sadducei. Forse ci scandalizza di piรน la resurrezione che la morte di croce. Dunque, il primo messaggio che emerge dal testo รจ la fede nella resurrezione come scandalo. Ma รจ uno scandalo che si oppone allโovvietร della morte. La resurrezione รจ tutto fuorchรฉ ovvia. ร lโincredibile per eccellenza, e dunque il vero contenuto della fede che chiede di credere lโincredibile. La fede cristiana รจ fede nella resurrezione e la fede nella resurrezione รจ, tout court, la fede cristiana. Fede che Cristo รจ risorto dai morti e fede che i morti risorgeranno in Cristo. โSe Cristo non รจ risorto, vana รจ la vostra fedeโ (1Cor 15,17); โSe non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo รจ risorto!โ (1Cor 15,13).
Un elemento che colpisce ancora nel โcaso di scuolaโ creato dai Sadducei รจ lโuso disinvolto e totalmente privo di compassione di situazioni che nella realtร sono tragiche e dolorose come la morte, la vedovanza, lโassenza di figli. Il testo di Dt a cui essi si riferiscono รจ teso a dare vita, speranza e futuro anche a chi moriva senza figli, ma essi stravolgono quella finalitร e il loro discorso รจ un vero e proprio inno alla morte. Per quattro volte ricorre il verbo โmorireโ (apothnรฉskein: vv. 28.29.31.32), due volte lโespressione โsenza figliโ (รกteknos: vv. 28.29), una volta lโespressione โnon lasciare figliโ (v. 31). Il loro parlare (e pensare) รจ dominato dallโossessione della morte.
La riduzione del dolore umano, di un caso tragico, ad argomentazione dialettica, dice anche il cinismo e la possibile violenza e insensibilitร della parola e, in particolare, della parola teologica, almeno quando e se riduce la realtร a casistica, quando e se รจ scissa dalla compassione umana. Criterio di veritร della parola, e anche della parola teologica, รจ il suo sentire il dolore umano, il suo lasciarsi abitare dalla sofferenza umana, e dunque il suo rifiutarsi di manipolare il dolore altrui e, per quanto possibile, di aggiungere dolore a dolore, di creare sofferenza inutile. Il discorso teologico e pastorale riesce a raggiungere e toccare il credente nel tragico della sua esistenza? O lo usa per difendere o sostenere una posizione dottrinale?
Gesรน risponde ai Sadducei riprendendone lโargomentazione che parlava di mariti e mogli, di figli e di matrimonio, e che intendeva la vita futura, la vita aperta dalla resurrezione, come proiezione e prosecuzione di questa vita. La realtร matrimoniale, come lโesercizio sessuale, รจ realtร penultima, di questo mondo. Affermando la resurrezione, Gesรน afferma anche la distinzione, ben presente nella mentalitร apocalittica, tra โquesto mondoโ (v. 34) e โlโaltro mondoโ (v. 35). Il senso del v. 34 รจ chiaro: sposarsi e procreare sono realtร di โquesto mondoโ, mentre coloro che entreranno a far parte dellโaltro mondo (essendone stati giudicati degni da Dio: il v. 35 presenta un passivo divino), โnon prendono moglie nรฉ maritoโ (v. 35). Ormai risorti essi vivono in Dio e dove regna Dio non regna piรน la morte (v. 36). Dicendo che i risorti sono โuguali agli angeliโ (isรกngheloi: v. 36), Luca usa un termine che troviamo anche in Filone di Alessandria per affermare che Abramo, una volta morto, divenne uguale agli angeli perchรฉ aveva un corpo spirituale. Il riferimento agli angeli va compreso anche in riferimento al fatto che i Sadducei, come ci informa altrove Luca, oltre a non credere alla resurrezione, affermano che non vi sono neppure โangeli nรฉ spiritiโ (At 23,8).
A questo punto Gesรน fa giocare lโargomentazione scritturistica. La resurrezione รจ attestata giร nel passo del roveto (โa proposito del rovetoโ: v. 37), dunque al cuore della Torah, quando Mosรจ dice โSignore il Dio di Abramo e Dio di Isacco e Dio di Giacobbeโ (v. 37). In Es 3,6 Dio si presenta a Mosรจ come attualmente Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, sebbene siano passati secoli dalle vicende dei patriarchi: non dice โio eroโ, ma โio sonoโ il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Non solo egli รจ vivente, ma anche i patriarchi lo sono, grazie a lui, per lui e in lui. Egli si rivela a Mosรจ come il Dio fedele allโalleanza, come Dio di viventi e non di morti, dunque come Dio la cui fedeltร รจ piรน forte della morte e trascina nella sua vita anche coloro con i quali si รจ impegnato legandosi a loro in alleanza.
Dunque il Dio che davanti a Mosรจ si autoproclama Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe attesta che anche i patriarchi sono viventi in lui: โtutti infatti vivono per luiโ (v. 38). Sta scritto nel quarto libro dei Maccabei: โI nostri patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe vivono in Dioโ (IV Mac 7,19); โColoro che muoiono per Dio vivono per Dio, come Abramo, Isacco e Giacobbeโ (IV Mac 16,25). Gesรน dunque fonda la fede nella resurrezione sullโautoritร di Mosรจ e della Torah, proprio i riferimenti su cui si erano appoggiati i Sadducei per smentire la credenza nella resurrezione.
Con questa esegesi, Gesรน si mostra in linea con lโinterpretazione farisaica di quel brano. โDice R. Simaj: da dove sappiamo che la resurrezione dei morti รจ insegnata nella Torah? Perchรฉ sta scritto: โAnche con Abramo, Isacco e Giacobbe io ho stabilito la mia alleanza, per dare ad essi la terra di Canaan, la terra dove essi soggiornarono come forestieriโ (Es 6,4). Qui non si dice: โper dare a voiโ (figli dโIsraele), ma โper dare a loroโ. Da qui risulta che la resurrezione dei morti รจ insegnata anche dalla Torahโ (bSanhedrin 90b).
Sul piano ermeneutico cosa possiamo trarre da tutto questo? La redazione lucana di questo episodio, assai complesso, riporta il discorso sulla resurrezione allโoggi e alle motivazioni del vivere oggi. Dal testo emerge pertanto una domanda per noi: per chi vivo? Perchรฉ vivo? Grazie a cosa vivo? Che cosa mi fa vivere? Se la domanda-trabocchetto dei Sadducei nasconde anche una serietร , questaย riguarda il futuro delle nostre relazioni, del nostro amore, dellโamore che spendiamo nellโoggi. E la risposta di Gesรน, oltre a contestare una visione della vita futura come prolungamento del presente, la strappa anche a speculazioni astratte e riporta allโoggi storico il credente interpellandolo sulle motivazioni del suo vivere. Chi ha una ragione per morire, ha anche una ragione per vivere. Chi ha una ragione per cui dare la vita, ha anche una motivazione per vivere. Dunque: per chi e per che cosa vivo?
- Pubblicitร -
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose