Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 6 Novembre 2022

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Credere lโ€™incredibile

La pericope evangelica della XXXII domenica dellโ€™Ordinario presenta una controversia tra Gesรน e i Sadducei circa la fede nella resurrezione (Lc 20,27-38). I sadducei erano rappresentanti di quel movimento aristocratico-sacerdotale che si caratterizzava per una stretta interpretazione della sola Torah scritta, prescindendo dalla Torah orale che il movimento farisaico faceva risalire anchโ€™essa al Sinai. Pertanto, non trovando nella Torah scritta affermazioni esplicite circa la resurrezione, i Sadducei, a differenza dei farisei, non credevano alla resurrezione. Non a caso, anticipando lโ€™argomento della discussione, Luca accompagna lโ€™ingresso in scena dei Sadducei (e si tratta dellโ€™unica e sola volta in cui i Sadducei compaiono nel terzo vangelo) con lโ€™inciso: โ€œi quali dicono che non cโ€™รจ resurrezioneโ€ (v. 27).

Il testo presenta una prima parte in cui i Sadducei pongono a Gesรน un caso studiato a tavolino che si conclude con una domanda (vv. 27-33) e una seconda che presenta la risposta di Gesรน (vv. 34-38). Essi sottopongono a Gesรน il caso – una finzione costruita ad arte -, di sette fratelli che sono morti senza lasciare figli dopo avere sposato in successione la stessa donna. Questa sorta di esercitazione scolastica, viene giocata dai Sadducei per mettere in ridicolo la credenza nella resurrezione dei morti. Essi espongono ciรฒ che dice la Torah (v. 28), quindi narrano la storiella dei sette fratelli e della donna (vv. 29-32) e infine pongono una domanda a Gesรน (v. 33). Il fine รจ quello di mettere in ridicolo la fede nella resurrezione. Essi citano la legge sul levirato come espressa in Dt 25,5-6. Essa dice che il fratello di un uomo sposato che muore senza avere figli, sposerร  la vedova e il figlio primogenito che nascerร  โ€œandrร  sotto il nome del fratello morto, perchรฉ il nome di questi non si estingua in Israeleโ€.

La storia dei sette fratelli e della loro identica sorte โ€“ morte senza figli โ€“, a cui segue la morte della donna stessa, sfocia nella domanda che dovrebbe mettere con le spalle al muro il loro interlocutore e mostrare lโ€™assurditร  della credenza nella resurrezione, o almeno i problemi che arriva a comportare: โ€œLa donna dunque, alla resurrezione, di chi sarร  moglie? Poichรฉ tutti e sette lโ€™hanno avuta in moglieโ€ (v. 33). Prima di esaminare la risposta di Gesรน ci possiamo interrogare sulla dimensione ermeneutica del testo. Come questa storiella fittizia e anche grottesca riguarda il credente oggi? Cosa ci dice, se ci dice qualcosa? In realtร , il problema centrale del testo, la fede nella resurrezione, tocca da vicino lโ€™uomo dโ€™oggi e anche i credenti.

Oggi alla posizione โ€œcoltaโ€ che critica il cristianesimo che con la resurrezione dimostrerebbe di non saper abitare il tragico come gli antichi greci, e a quella che vede nella resurrezione unโ€™evasione nellโ€™aldilร , un inverificabile happy end consolatorio apposto alla drammaticitร  della storia, si affiancano la reticenza e lโ€™imbarazzo che spesso abitano gli stessi credenti di fronte alla fede nella resurrezione. A volte non siamo poi cosรฌ distanti dalle posizioni dei Sadducei. Forse ci scandalizza di piรน la resurrezione che la morte di croce. Dunque, il primo messaggio che emerge dal testo รจ la fede nella resurrezione come scandalo. Ma รจ uno scandalo che si oppone allโ€™ovvietร  della morte. La resurrezione รจ tutto fuorchรฉ ovvia. รˆ lโ€™incredibile per eccellenza, e dunque il vero contenuto della fede che chiede di credere lโ€™incredibile. La fede cristiana รจ fede nella resurrezione e la fede nella resurrezione รจ, tout court, la fede cristiana. Fede che Cristo รจ risorto dai morti e fede che i morti risorgeranno in Cristo. โ€œSe Cristo non รจ risorto, vana รจ la vostra fedeโ€ (1Cor 15,17); โ€œSe non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo รจ risorto!โ€ (1Cor 15,13).

Un elemento che colpisce ancora nel โ€œcaso di scuolaโ€ creato dai Sadducei รจ lโ€™uso disinvolto e totalmente privo di compassione di situazioni che nella realtร  sono tragiche e dolorose come la morte, la vedovanza, lโ€™assenza di figli. Il testo di Dt a cui essi si riferiscono รจ teso a dare vita, speranza e futuro anche a chi moriva senza figli, ma essi stravolgono quella finalitร  e il loro discorso รจ un vero e proprio inno alla morte. Per quattro volte ricorre il verbo โ€œmorireโ€ (apothnรฉskein: vv. 28.29.31.32), due volte lโ€™espressione โ€œsenza figliโ€ (รกteknos: vv. 28.29), una volta lโ€™espressione โ€œnon lasciare figliโ€ (v. 31). Il loro parlare (e pensare) รจ dominato dallโ€™ossessione della morte.

La riduzione del dolore umano, di un caso tragico, ad argomentazione dialettica, dice anche il cinismo e la possibile violenza e insensibilitร  della parola e, in particolare, della parola teologica, almeno quando e se riduce la realtร  a casistica, quando e se รจ scissa dalla compassione umana. Criterio di veritร  della parola, e anche della parola teologica, รจ il suo sentire il dolore umano, il suo lasciarsi abitare dalla sofferenza umana, e dunque il suo rifiutarsi di manipolare il dolore altrui e, per quanto possibile, di aggiungere dolore a dolore, di creare sofferenza inutile. Il discorso teologico e pastorale riesce a raggiungere e toccare il credente nel tragico della sua esistenza? O lo usa per difendere o sostenere una posizione dottrinale?

Gesรน risponde ai Sadducei riprendendone lโ€™argomentazione che parlava di mariti e mogli, di figli e di matrimonio, e che intendeva la vita futura, la vita aperta dalla resurrezione, come proiezione e prosecuzione di questa vita. La realtร  matrimoniale, come lโ€™esercizio sessuale, รจ realtร  penultima, di questo mondo. Affermando la resurrezione, Gesรน afferma anche la distinzione, ben presente nella mentalitร  apocalittica, tra โ€œquesto mondoโ€ (v. 34) e โ€œlโ€™altro mondoโ€ (v. 35). Il senso del v. 34 รจ chiaro: sposarsi e procreare sono realtร  di โ€œquesto mondoโ€, mentre coloro che entreranno a far parte dellโ€™altro mondo (essendone stati giudicati degni da Dio: il v. 35 presenta un passivo divino), โ€œnon prendono moglie nรฉ maritoโ€ (v. 35). Ormai risorti essi vivono in Dio e dove regna Dio non regna piรน la morte (v. 36). Dicendo che i risorti sono โ€œuguali agli angeliโ€ (isรกngheloi: v. 36), Luca usa un termine che troviamo anche in Filone di Alessandria per affermare che Abramo, una volta morto, divenne uguale agli angeli perchรฉ aveva un corpo spirituale. Il riferimento agli angeli va compreso anche in riferimento al fatto che i Sadducei, come ci informa altrove Luca, oltre a non credere alla resurrezione, affermano che non vi sono neppure โ€œangeli nรฉ spiritiโ€ (At 23,8).

A questo punto Gesรน fa giocare lโ€™argomentazione scritturistica. La resurrezione รจ attestata giร  nel passo del roveto (โ€œa proposito del rovetoโ€: v. 37), dunque al cuore della Torah, quando Mosรจ dice โ€œSignore il Dio di Abramo e Dio di Isacco e Dio di Giacobbeโ€ (v. 37). In Es 3,6 Dio si presenta a Mosรจ come attualmente Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, sebbene siano passati secoli dalle vicende dei patriarchi: non dice โ€œio eroโ€, ma โ€œio sonoโ€ il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Non solo egli รจ vivente, ma anche i patriarchi lo sono, grazie a lui, per lui e in lui. Egli si rivela a Mosรจ come il Dio fedele allโ€™alleanza, come Dio di viventi e non di morti, dunque come Dio la cui fedeltร  รจ piรน forte della morte e trascina nella sua vita anche coloro con i quali si รจ impegnato legandosi a loro in alleanza.

Dunque il Dio che davanti a Mosรจ si autoproclama Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe attesta che anche i patriarchi sono viventi in lui: โ€œtutti infatti vivono per luiโ€ (v. 38). Sta scritto nel quarto libro dei Maccabei: โ€œI nostri patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe vivono in Dioโ€ (IV Mac 7,19); โ€œColoro che muoiono per Dio vivono per Dio, come Abramo, Isacco e Giacobbeโ€ (IV Mac 16,25). Gesรน dunque fonda la fede nella resurrezione sullโ€™autoritร  di Mosรจ e della Torah, proprio i riferimenti su cui si erano appoggiati i Sadducei per smentire la credenza nella resurrezione.

Con questa esegesi, Gesรน si mostra in linea con lโ€™interpretazione farisaica di quel brano. โ€œDice R. Simaj: da dove sappiamo che la resurrezione dei morti รจ insegnata nella Torah? Perchรฉ sta scritto: โ€˜Anche con Abramo, Isacco e Giacobbe io ho stabilito la mia alleanza, per dare ad essi la terra di Canaan, la terra dove essi soggiornarono come forestieriโ€™ (Es 6,4). Qui non si dice: โ€˜per dare a voiโ€™ (figli dโ€™Israele), ma โ€˜per dare a loroโ€™. Da qui risulta che la resurrezione dei morti รจ insegnata anche dalla Torahโ€ (bSanhedrin 90b).

Sul piano ermeneutico cosa possiamo trarre da tutto questo? La redazione lucana di questo episodio, assai complesso, riporta il discorso sulla resurrezione allโ€™oggi e alle motivazioni del vivere oggi. Dal testo emerge pertanto una domanda per noi: per chi vivo? Perchรฉ vivo? Grazie a cosa vivo? Che cosa mi fa vivere? Se la domanda-trabocchetto dei Sadducei nasconde anche una serietร , questaย riguarda il futuro delle nostre relazioni, del nostro amore, dellโ€™amore che spendiamo nellโ€™oggi. E la risposta di Gesรน, oltre a contestare una visione della vita futura come prolungamento del presente, la strappa anche a speculazioni astratte e riporta allโ€™oggi storico il credente interpellandolo sulle motivazioni del suo vivere. Chi ha una ragione per morire, ha anche una ragione per vivere. Chi ha una ragione per cui dare la vita, ha anche una motivazione per vivere. Dunque: per chi e per che cosa vivo?

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A cura di: Luciano Manicardi

Per gentile concessione del Monastero di Bose