Anche lโinsuccesso si fa preghiera
Il testo evangelico odierno inizia con una notazione temporale (โIn quel tempoโ) che lega ciรฒ che Gesรน sta per dire agli eventi appena narrati, ovvero, la domanda del Battista sulla messianicitร di Gesรน (Mt 11,3ss.) e il fallimento, o almeno lo scarso successo, della sua predicazione e missione (Mt 11,20-24). Gesรน ha appena rimproverato le cittร di Corazin, Betsaida e Cafarnao perchรฉ, pur avendo assistito ai gesti di potenza da lui compiuti, non si sono convertite. Si comprende cosรฌ il senso del verbo โrispondereโ che introduce il ringraziamento di Gesรน. Dice letteralmente il testo: โIn quel tempo, rispondendo, Gesรน disseโ. Questa risposta reagisce a degli eventi, non a una domanda esplicita che, appunto, nel testo non cโรจ. Gesรน risponde allo scarso interesse suscitato dalla sua persona, dalla sua predicazione, dalle sue opere. E vi risponde con la preghiera, addirittura una preghiera di ringraziamento (โTi benedico, Padreโ). Gesรน integra nella preghiera lโinsuccesso, mette tutto davanti al Padre e conferma il suo โsรฌโ, il suo โamenโ, la sua decisione irrevocabile di adesione a Lui. Il suo โsรฌโ al Padre non รจ condizionato dal successo della sua missione, ma รจ unโadesione radicale che anche situazioni sfavorevoli o contraddittorie non intaccano. Il โnoโ che la sua persona e il suo ministero hanno ricevuto, confermano, nella sua preghiera il suo โsรฌโ al Padre. Sempre la preghiera รจ una risposta che reagisce alla parola di Dio cosรฌ come a eventi della vita che non possono lasciare indifferente il credente. Con la preghiera anche il fallimento, o ciรฒ che noi giudichiamo tale (il fallimento pastorale, lโassenza di frutti del ministero, la sterilitร della predicazione, il rifiuto o il disinteresse degli altriโฆ) diviene non causa di scoraggiamento o di abbandono, ma momento di paradossale conferma della sequela del Signore.
In questo passo, Matteo presenta Gesรน come figura di rivelazione e di iniziazione alla rivelazione: rivelazione di Dio e iniziazione alla rivelazione per i discepoli. Mentre Gesรน, con la sua umiltร , rivela lโumiltร di Dio, Gesรน si propone anche come fonte di umiltร per i suoi discepoli. Questo intento iniziatico-rivelativo รจ costruito da Matteo con una struttura tripartita modellata sul testo sapienziale di Sir 51. Se in Matteo troviamo un inno di ringraziamento (vv. 25-26), un monologo sul rapporto tra Gesรน e il Padre (v. 27) e lโinvito a mettersi alla scuola di Gesรน e ad assumere il suo giogo (vv. 28-30), in Sir 51 abbiamo un inno di ringraziamento (vv. 1-12), un monologo sulla ricerca della sapienza (vv. 13-22), un invito a mettersi alla scuola della sapienza e a prendere su di sรฉ il suo giogo (vv. 23-30). Non รจ un caso che in Mt 11,19 si parli delle opere della Sapienza riferendosi alle opere del Messia (cf. Mt 11,2-6): Cristo รจ la Sapienza di Dio.
La preghiera di ringraziamento di Gesรน รจ anche, contemporaneamente, una confessione di fede: il verbo greco utilizzato da Matteo ha entrambi i significati. Gesรน sta manifestando la sua fede nel Padre. Solo unโoperazione di rielaborazione interiore nella fede degli eventi vissuti puรฒ portare a fare di un insuccesso il fondamento di un rendimento di grazie e di una conferma della propria missione. E la fede, come sempre, si esprime e trova la sua eloquenza nella preghiera: Gesรน รจ uomo di preghiera perchรฉ uomo di fede.
Questa preghiera svela anche il punto di vista da cui Gesรน guarda gli eventi. La preghiera di Gesรน ringrazia il Padre non tanto per lโazione di nascondimento nei confronti di alcuni, quanto per lโazione di rivelazione nei confronti di altri. Lโaccento non รจ punitivo nei confronti di chi non ha accolto la rivelazione, quanto di ringraziamento a Dio che rivela ai piccoli i suoi disegni. In particolare, rivela lโuomo Gesรน come Messia. Lโadesione di alcuni, definiti con un termine che puรฒ indicare anche gli infanti, i โsenza parolaโ, dunque senza istruzione, รจ lโangolatura da cui Gesรน guarda gli eventi e li coglie nella loro dimensione positiva, che svela cioรจ il volere di Dio, ciรฒ in cui Dio mette il suo compiacimento. Questi semplici, credendo alla parola e alle opere compiute da Gesรน, hanno colto in lui la rivelazione del Padre, e questa azione diviene svelamento e giudizio del cuore di altri, la cui sapienza intellettuale e dotta si rivela inconsistente davanti alla semplicitร dei piccoli. ร come se nel nostro testo confluissero due tradizioni: quella sapienziale che afferma che i piccoli sono destinatari della rivelazione divina (โGrande รจ la misericordia di Dio: egli rivela i suoi segreti agli umiliโ: Sir 3,20 secondo il testo ebraico) e quella profetica che polemizza con la sapienza intellettuale (โPerirร la sapienza dei sapienti e si eclisserร lโintelligenza degli intellettualiโ: Is 29,14). Il โsรฌโ di Gesรน al Padre รจ dunque anche il riconoscimento della modalitร con cui Dio agisce nella storia, scegliendo il minore, il piรน piccolo, chi agli occhi umani รจ disprezzabile e non conta nulla. ร dunque un โsรฌโ che sgorga dalla familiaritร di Gesรน con il cuore di Dio, un cuore che predilige il minore, il piccolo, il dimenticato, da Abele in poi. Anche Abele, che nel testo biblico non pronuncia parola (Gen 4,1-16), รจ un โinfanteโ, un senza parola. E ciรฒ che รจ stato rivelato, ovvero โqueste coseโ (Mt 11,25), รจ il senso profondo delle โopere del Messiaโ (Mt 11,2), quel senso che รจ rimasto nascosto ai dotti e sottili ragionatori di questo mondo (cf. 1Cor 1,20).
Il v. 27 afferma che il Dio che si rivela ai piccoli รจ il Dio che Gesรน stesso rivela. In quanto โmite e umile di cuoreโ, Gesรน, a cui Dio ha consegnato tutto, rivela Dio. Questo il mistero, il segreto, la sapienza nascosta che abita nel Padre e che Gesรน svela con la sua stessa mitezza e umiltร : Dio si sottrae a chi si appoggia sulle proprie forze e conta sulla propria intelligenza e sulle proprie doti e capacitร e si manifesta invece agli umili, ai senza pretese, ai piccoli.
- Pubblicitร -
Le parole di Gesรน nei vv. 28-29 abbozzano un itinerario di sequela del discepolo. Vi รจ anzitutto la chiamata: โVenite a meโ; quindi la necessaria rinuncia alla volontร propria per obbedire alla volontร del Signore (โprendete il mio giogoโ). Per โvolontร propriaโ non si intende la libera determinazione dellโuomo, ma la sua volontร egocentrica, โcarnaleโ. Quindi cโรจ lโattitudine del discepolo, lโobbedienza del discepolo al suo maestro e Signore (โImparate da meโ) e infine il riposo, la pienezza di vita trovata nel Signore (โtroverete riposo per le vostre viteโ). Andare a Cristo, imparare da lui e seguirlo significa anzitutto apprendere lโarte della mitezza, che รจ lโarte di vincere la violenza e lโaggressivitร con la parola dialogica. Potremmo dire che la beatitudine dei miti รจ la beatitudine di chi si sottomette alla fatica del dialogo. Il NT propone la beatitudine dei miti (Mt 5,5) su base cristologica: Cristo รจ il mite. Egli dice: โImparate da me, che sono mite e umile di cuoreโ (Mt 11,29). Mitezza fatta persona Cristo lo รจ in quanto parola fatta carne, in quanto parola che Dio interpone fra sรฉ e gli umani non per imporre, ma per invitare, per suscitare uno scambio, per far entrare liberamente nella relazione con Lui. Accogliere la rivelazione del Cristo mite รจ entrare nel dialogo che Dio ha apprestato come via per la relazione autentica. Autentica, cioรจ non violenta, non manipolatoria, non impositiva, non mistificatrice.
Paolo VI aveva ben compreso che la mitezza รจ intrinseca al dialogo, annoverandola tra i suoi โcaratteriโ propri: โLa โmitezzaโ, quella che Cristo ci propose dโimparare da lui stesso: โImparate da me che sono mansueto e umile di cuoreโ (Mt 11,29); il dialogo non รจ orgoglioso, non รจ pungente, non รจ offensivo. La sua autoritร รจ intrinseca per la veritร che espone, per la caritร che diffonde, per lโesempio che propone; non รจ comando, non รจ imposizione. ร pacifico; evita i modi violenti; รจ paziente, รจ generoso. La โfiduciaโ, tanto nella virtรน della parola propria, quanto nellโattitudine ad accoglierla da parte dellโinterlocutore: promuove la confidenza e lโamicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione ad un Bene che esclude ogni scopo egoisticoโ (Ecclesiam suam 83).
Il โgiogoโ di Gesรน non designa poi dettami religiosi o comandi da eseguire, ma una relazione, un legame, onorando cosรฌ lโetimologia della parola che designa lโazione di โriunireโ, โmettere insiemeโ. Il giogo di Gesรน leggero e soave รจ in continuitร con il comando biblico di amare e con lโidea che colui che ama, fa con gioia la volontร dellโamato. Gesรน promette riposo a chi assume il suo giogo: unโesistenza credente che sia perennemente stressata dagli impegni pastorali e si configuri come frenetica attivitร che non conosce sosta e riposo, dimentica quellโaffidamento a Cristo che รจ fonte di riposo nella fatica e di consolazione nelle contraddizioni. E che plasma il volto del credente non a immagine e somiglianza di manager iperattivi e sempre nervosi, ma del Cristo mite e umile, paziente e benevolo.
Al tempo stesso, un giogo resta un giogo e nulla toglie la fatica di portarlo. Amare รจ un lavoro impegnativo e la sequela Christi comporta sforzo e fatica. Di fronte alla tentazione diffusa di eliminare dal vivere ciรฒ che รจ faticoso e comporta sofferenza in nome dellโidolatria del โtutto, subito e senza sforzoโ, occorre ribadire che non si danno grandi realizzazioni umane e spirituali senza fatica, dedizione, sacrificio. Nรฉ possiamo dimenticare che il giogo dellโobbedienza portato da Gesรน durante tutta la sua vita รจ divenuto, alla fine della sua vita, un portare la croce.
A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose