Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 4 Dicembre 2022

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Prepariamo la venuta del Signore

Le letture della seconda domenica di Avvento dell’annata A convergono nel consegnare un messaggio centrato sul Messia: il Messia è colui su cui si posa lo Spirito di Dio con i suoi doni (Is 11,1-10); Gesù il Messia è colui che, secondo la parola della Scrittura, ha adempiuto le promesse di Dio fatte ai padri (Rm 15,4-9); il Messia, colui che battezzerà in Spirito santo e fuoco, è il più forte annunciato dal Battista (Mt 3,1-12). Egli è rivelato dallo Spirito (I lettura), profetizzato dalle Scritture (II lettura), indicato da un uomo, Giovanni, il profeta e precursore (vangelo). Anche nella vita cristiana, lo Spirito, le Scritture e una persona, un uomo o una donna di Dio, un padre o una madre spirituale, un profeta, svolgono una funzione magisteriale e di preparazione all’accoglienza del Signore che viene. Che cosa unifica queste tre realtà? Il fatto che ciascuna di esse rinvia a Cristo.

Lo Spirito rinvia al Messia, colui su cui si posa e dimora lo Spirito; le Scritture rinviano a Cristo, parlano di Cristo e conducono il credente a una pratica di accoglienza come Cristo accolse noi (cf. Rm 15,7). Infine anche Giovanni Battista, l’uomo venuto da Dio (cf. Gv 1,6), rinvia al Cristo e lo indica. Ora, le tre letture non presentano solo il richiamo alla conversione con il Battista, l’esortazione alla perseveranza sostenuta dalle Scritture, l’appello ad affinare il discernimento grazie allo Spirito del Signore, ma vi è qualcosa di più profondo e basilare.

Vi è l’indicazione degli elementi indispensabili che nella loro interrelazione costruiscono una vita cristiana equilibrata: lo Spirito, la Scrittura, un uomo. Lo Spirito santo, certo, ma oggettivato dalla Scrittura, perché si tratta dello Spirito di Gesù stesso: non ogni sussulto mistico è spirituale in senso cristiano, ma solo ciò che è conforme alla narrazione di Dio compiuta dall’uomo Gesù di Nazaret come le Scritture e massimamente i vangeli la presentano. La Scrittura, certo, ma vivificata dallo Spirito, altrimenti essa resta lettera morta e che produce morte e l’esperienza cristiana si atrofizza nelle forme del fondamentalismo, del letteralismo, del legalismo.

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Dunque, lo Spirito e la Scrittura nella loro reciproca sinergia, ma poi essi abbisognano di un soggetto umano che se ne faccia ermeneuta, narratore, testimone, come vediamo nella figura del Battista, e di un contesto umano, di una comunità, in cui essi trovano compimento trasformando storie, vite, relazioni. Non solo dunque, un uomo, ma gli altri, la comunità, quegli altri a cui si rivolge Giovanni con la sua predicazione e che sono i veri destinatari dell’azione dello Spirito e della parola di Dio contenuta nella Scrittura. E anche il soggetto umano deve sempre collocarsi nel rapporto di obbedienza alla Scrittura e di docilità allo Spirito altrimenti l’esperienza cristiana si distorce in protagonismo umano e dunque in abuso. In sintesi, possiamo vedere nel riferimento allo Spirito, alla Scrittura e alla Comunità, nella loro necessaria e ineliminabile pericoresi, gli elementi essenziali dell’economia della mediazione dell’autentica esperienza cristiana.

La seconda domenica di Avvento ha come centro del suo messaggio biblico la preparazione della venuta del Signore. Una preparazione che avviene con l’ausilio dello Spirito da invocare a al cui dinamismo sottomettersi, con l’ausilio della Scrittura da ascoltare e meditare perché trasformi il nostro cuore: una preparazione che ha nome di conversione. Che è ciò che Giovanni chiede vivendola in prima persona. Mentre esorta altri dicendo: “preparate la via del Signore” (Mt 3,3), Giovanni la sta preparando, anzi sta facendo di se stesso la via che il Signore seguirà. Egli è il precursore, colui che precede il Messia con la sua vita anticipando in sé molto di ciò che farà poi il Messia.

Le parole con cui si presenta sulla scena nel primo vangelo – “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino” – sono riprese tali e quali nella prima predicazione di Gesù in Mt 4,17. E la stessa predicazione giudiziale di Giovanni contro farisei e sadducei anticipa le parole di fuoco che Gesù pronuncerà verso scribi e farisei ipocriti nel capitolo 23 del primo vangelo. Non si tratta alla fin fine di preparare “qualcosa”, bensì di rendere se stessi una preparazione alla venuta del Signore, di fare della propria persona un annuncio della venuta del Signore, una strada attraverso cui il Signore viene per gli altri che ci incontrano. Questo significa diventare segni, dei segnavia che indicano il Messia e che indirizzano a Cristo.

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Nelle letture odierne colpisce che la figura del Messia, annunciata dalle profezie, testimoniata dalle Scritture, precorsa dal Battista, non sia in realtà ancora in scena. Nelle parole di Giovanni è presente solo nella indicazione di “colui che viene dopo (lett. “dietro”) di me … e che vi battezzerà in Spirito santo e fuoco” (Mt 3,11), nella pagina di Paolo è presente nella testimonianza delle Scritture e, in Isaia è profetizzata nelle parole circa il “germoglio” di Iesse che spunterà. Ovvero, la parola suscitata dalla fede è parola che osa ciò che ancora non c’è e non solo crede che ci sarà in futuro, ma comincia a farlo esistere nella storia e nelle vite degli uomini. Una volta pronunciata, la parola della fede opera nella storia suscitando attesa e desiderio, mobilitando energie che tendono al compiersi di quanto preannunciato e che cercano di preparare le condizioni del suo avverarsi.

La profezia è sì traduzione nell’oggi storico della parola di Dio, ma sa parlare anche al futuro, sa elaborare immagini e scenari che non sono praticabili e possibili nell’oggi, ma che lo potranno essere in futuro. Il profeta annuncia che il Signore invierà il profeta Elia prima che venga il giorno del Signore (Ml 3,1); il profeta annuncia che nell’era messianica gli uomini forgeranno le loro armi in strumenti di lavoro (Is 2,4), che il lupo dimorerà insieme all’agnello, la mucca e l’orsa pascoleranno insieme (Is 11,6-7), e che gli uomini non agiranno più iniquamente (Is 11,9); il profeta annuncia che il Signore eliminerà la morte per sempre (Is 25,8): queste e altre parole e immagini profetiche non riscontrabili nella realtà, una volta pronunciate non sono irreali, bensì sono non-ancora reali, ma lo potranno essere. E tali immagini si mostrano capaci di sostenere la speranza e di animare l’attesa e anche l’azione di tanti. Sono parole che agiscono sulla realtà.

Certo, perché queste parole diventino concrete e queste immagini diventino storia occorre un uomo che si faccia catalizzatore di queste attese, che accetti di portare su di sé il peso della parola profetica pronunciata un tempo, che dia carne con la propria vita alle immagini profetiche. Ecco dunque che Giovanni viene presentato come colui che dà realtà con la sua persona alle parole di Is 40,3: “Voce di uno che grida: nel deserto preparate la via del Signore” (cf. Mt 3,3).

La Scrittura che noi crediamo ispirata è soprattutto ispirante, suscitatrice di storia, di vita, soprattutto essa sollecita la libertà di una persona che sente la parola di Dio contenuta nella Scrittura come rivolta a sé e decide di trasformare la propria esistenza lasciandola guidare da tale parola. Tuttavia, per quanto il vangelo non presenti ancora in scena Gesù, il Messia, in verità esso è invisibilmente ma realmente presente nell’attesa di Giovanni, uomo tutto teso verso colui che deve venire. È presente nelle sue parole e nei suoi gesti, nel suo modo di vita che può preparare altri all’attesa proprio perché l’attesa abita la sua persona, i suoi gesti, il suo battesimo, la sua predicazione. Giovanni dà forma e presenza all’assente, a colui che non-ancora è là, ma che presto lo sarà.

La figura di Giovanni può essere letta alla luce di questo testo del Siracide: “Le prime necessità della vita sono acqua, pane e vestito, e una casa che protegga l’intimità” (Sir 29,21). Di Giovanni ci viene detta l’estrema sobrietà e precarietà anche su queste cose che pure sono essenziali alla vita umana: cibo, vestito, casa. Vive nel deserto, precorrendo colui che non aveva dove posare il capo (Mt 8,20), veste con estrema rudezza il vestito semplice e povero tipico dei profeti (cf. 2Re 1,8), mangia il cibo che trova. E questo ci porta a interrogarci sul nostro stile di vita, su quali siano le nostre esigenze e le nostre pretese, la testimonianza o la controtestimonianza che diamo al vangelo con il nostro stile di vita. La vita di Giovanni è esposta, non ha ripari se non nella profondità delle convinzioni.

La sua forza si manifesta anzitutto su di sé, nella capacità di “governo del corpo”, di non lasciarsi andare e di non farsi dominare dai bisogni essenziali della vita che diventano dominanti: la casa, il vestito, il cibo. Non vi è ricercatezza ma sobrietà. Modalità e forme del vestire, dell’abitare, del nutrirsi sono un linguaggio che dice della verità testimoniale di una persona. Non a caso, Gesù, quando parlerà di Giovanni, ribadirà che il Battista non vestiva abiti di lusso e non abitava in palazzi regali (Mt 11,7-9).

Dalla figura di Giovanni, che predica credibilmente la conversione vivendola personalmente, ci giunge dunque un insegnamento fondamentale: non esistono valori se non incarnati in persone che li vivono e ne pagano il prezzo. L’onestà esiste in persone oneste, la giustizia è narrata da persone giuste. Costi quel che costi. Come avverrà per Giovanni, il cui rigore di giustizia lo porterà a incontrare la morte quando rimprovererà a Erode di vivere con la moglie di suo fratello Filippo (“Non ti è lecito tenerla con te”: cf. Mt 14,3-4). Giovanni diverrà martire della parola, anche in questo anticipando e precorrendo il Messia Gesù.

A cura di: Luciano Manicardi

Per gentile concessione del Monastero di Bose