Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 29 Ottobre 2023

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Cultura della memoria e amore dellโ€™immigrato

La prima lettura (Es 22,20-26) presenta alcune leggi tratte dal piรน antico corpus legislativo della Torah (il codice dellโ€™alleanza); nel vangelo (Mt 22,34-40) Gesรน, interrogato su quale sia il piรน grande comando presente nella Torah, risponde citando il comando di amare Dio con la totalitร  del proprio essere (cf. Dt 6,5; Mt 22,37-38) e accostandovi, come secondo e simile, il comando di amare il prossimo come se stessi (cf. Lv 19,18; Mt 22,39). La Torah, in bocca a Gesรน e vissuta da Gesรน, รจ Vangelo.

Le leggi presenti nellโ€™AT, spesso ignorate o conosciute male dai cristiani, sono testi di ricchezza perenne (come โ€œperenneโ€ รจ il valore dellโ€™AT per i cristiani: Dei verbum 14) e contengono spesso un importante insegnamento che tende allโ€™umanizzazione dellโ€™uomo. La legge che prescrive al creditore di restituire al povero โ€œal tramonto del soleโ€ il mantello preso in pegno รจ motivata con unโ€™affermazione che esprime la compassione per il sofferente e con una domanda che vuole svegliare lโ€™umanitร  del creditore nei confronti del misero, che รจ un essere umano ben prima e ben piรน di un debitore: โ€œSe prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, perchรฉ รจ la sua sola coperta, รจ il mantello per la sua pelle, come potrebbe coprirsi dormendo?โ€ (Es 22,25-26). Qui la legge afferma che la vita di un uomo pone dei limiti a ciรฒ che si รจ in diritto di pretendere da lui.

La legge che proibisce di opprimere e sfruttare lโ€™immigrato (gher, in ebraico) รจ motivata coinvolgendo il destinatario della legge: โ€œperchรฉ voi siete stati immigrati nel paese di Egittoโ€ (Es 22,20). Questa legge chiede un lavoro interiore, chiede diย fare memoria delle sofferenze subiteย dai padri dei destinatari della legge, quando quelli si sono trovati a vivere e a lavorare da stranieri nel paese dโ€™Egitto. La memoria divenuta legge puรฒ ispirare un rapporto umano con chi ora รจ immigrato nel proprio paese. Alla base di questa legislazione cโ€™รจ laย memoria dellโ€™esperienza egiziana, che arriva a determinare come โ€˜normanteโ€™ lโ€™atteggiamento di protezione e di accoglienza verso lโ€™immigrato. Coloro a cui sono rivolte queste leggi sono infatti i lontanissimi discendenti di coloro che avevano vissuto in prima persona lโ€™esperienza dellโ€™oppressione in Egitto. In questo modo la memoria dellโ€™evento storico diventa legge e la legge sociale si configura come il memoriale della storia passata: al cuore di questo circolo ermeneutico cโ€™รจ la figura delย gher, lโ€™immigrato. Figura che rimanda tanto al non israelita quanto al figlio dโ€™Israele.

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Queste leggi nascono dunque da unaย cultura della memoria: ieri come oggi la memoria storica sta alla base di una cultura dellโ€™ospitalitร  e dellโ€™accoglienza. Il testo di Es 22,20 (ma anche Es 23,9: โ€œNon opprimere lโ€™immigrato: voi infatti conoscete il respiro dellโ€™immigrato, perchรฉ siete stati anche voi immigrati in terra dโ€™Egittoโ€, dove il โ€œrespiroโ€ indica il fiatone dovuto al fatto che agli immigrati erano riservati i lavori piรน pesanti) sgorga dalla coscienza che la memoria, particolarmenteย la memoria della sofferenza, puรฒ liberare dalla โ€œcoazione a ripetereโ€, dalla tentazione di ripercuotere su altri la violenza una volta subita. Da parte dellโ€™ospitante occorrerebbe poi la coscienza che colui che arriva proviene da una storia di dolore e porta con sรฉ il pesante fardello di una lacerante sofferenza. Egli sta fuggendo da condizioni di vita inumana: povertร  e miseria, fame e condizioni sociali insostenibili, guerra e persecuzione, pulizie etniche e lotte tribali, violenze e discriminazioni di ogni tipo.

La memoria della sofferenza potrebbe agire come โ€œterzoโ€ fra lโ€™ospitante e lo straniero per liberare il loro rapporto dal rischio della violenza e aprirlo allโ€™empatia. Sul piano della comune esperienza della sofferenza si puรฒ arrivare ad avere una percezione dellโ€™altro non come nemico, non come minaccia, non come colui che prende per sรฉ ciรฒ che spetta a โ€˜noiโ€™, che ci sottrae il lavoro e minaccia le โ€˜nostreโ€™ donne (quasi che, in una visione decisamente maschilista, solo perchรฉ italiane, le donne fossero di diritto โ€œnostreโ€, cioรจ destinate a maschi italiani), ma come vittima, come bisognoso, come indigente. Occorrerebbe dare spazio a una โ€œcultura della memoriaโ€. E sarebbe non solo possibile, ma anche eticamente doveroso in un paese come il nostro, in cui molti hanno vissuto lโ€™emigrazione, sia interna che verso lโ€™estero, e conosciuto i disagi e le discriminazioni di chi vive da immigrato in paese straniero, in paesi ospitanti, ma non sempre ospitali. La storia dellโ€™emigrazione italiana allโ€™estero รจ piena di vicende dolorose e tragiche che annoverano violenze e linciaggi, accuse e disprezzo, emarginazione e discriminazione.

Luoghi comuni (e per questo pericolosissimi) che permangono nel tempo e di cui tutti possono essere di volta in volta oggetto e soggetto. Purtroppo oggi siamo immersi in una cultura dellโ€™amnesia, della dimenticanza, e questo rende fragili le nostre identitร  e ingigantisce le nostre paure: invece, il ricordo e soprattutto la memoria del male conosciuto da noi e dagli altri, potrebbe consentirci di elaborare il male subito e di produrre una cultura di accoglienza e di solidarietร , di ospitalitร  e di condivisione. Non ricordare significa fuggire la storia, rifiutarsi allโ€™umiltร  e alla compassione, aprire la strada alla volgaritร  e alla barbarie, allโ€™arroganza e allโ€™intolleranza. Forse, lโ€™insegnamento che spinge a ricordare รจ lโ€™ereditร  piรน preziosa che ci lascia la testimonianza biblica: infatti, โ€œla Bibbia insiste sul dovere del ricordo piuttosto che sul rispetto di principi. Il ricordo ferisce lโ€™interioritร  umana e la vota a servire la debolezza dello straniero senza cercare di approfittarne, di dominarla o semplicemente di passare oltre il suo appello volgendo lo sguardo altroveโ€ (Catherine Chalier).ย Dimenticare lo straniero equivale a dimenticare la propria umanitร .

E, di conseguenza, significa astenersi daiย gesti umani, umanissimi, dellโ€™accoglienza. Per esempio, non dovremmo, noi italiani, ricordare che agli inizi del ventesimo secolo in quel tratto di mare – il canale di Sicilia – dove oggi muoiono (e purtroppo non solo lรฌ) centinaia di persone provenienti dalla sponda meridionale del Mediterraneo, sono stati degli italiani a trovare la morte? Italiani che erano andati soprattutto in Tunisia, quando era protettorato francese e che erano stati rimpatriati, cosรฌ come negli anni sessanta sono stati i magrebini a venire verso lโ€™Italia.

Tornando al nostro testo biblico, lโ€™immigrato, accostato alla vedova, allโ€™orfano e al povero (Es 22,21.24), rientra fra quelleย personaemiseraeย che vivono in condizioni di povertร  e dipendenza, esposti ad angherie, soprusi e sopraffazioni perchรฉ socialmente deboli e indifesi. In piรน, lโ€™immigrato, essendo straniero, appartenente a un altro popolo e ad unโ€™altra religione, senza legami parentali con la popolazione locale, รจ facilmente equiparabile a un nemico: se viene oppresso o anche ucciso, non cโ€™รจ da temere la vendetta di nessuno. Uno puรฒ farlo impunemente. Per questo il Signore stesso interviene in sua difesa: โ€˜Se egli grida verso di me, io ascolterรฒ il suo gridoโ€™ (Es 22,22).

La condizione di marginalitร , di assenza di protezione e di diritti, pone lโ€™immigrato sotto la diretta tutela del Signore. Dunque: il divieto di opprimere una minoranza etnica presente allโ€™interno dei propri confini, รจ motivata dal rimando alla situazione vissuta da Israele stesso quando era minoranza senza diritti in Egitto. Questo rimando ha una precisa portata teologica: il Signore, il Dio dโ€™Israele, รจ il Dio degli emigranti in terra straniera, dei marginali, dei senza diritti. Egli si รจ rivelato tale a Israele quando questi era lui uno straniero in Egitto. Proteggere lo straniero residente allโ€™interno dei propri confini significa allora per Israeleย confessare la fede in Adonaj, il liberatore, il goโ€™el. Al contrario, sfruttare gli immigrati, per Israele significherebbe adorare un altro dio, significherebbe cadere nellโ€™idolatria.

La lunga digressione sul testo veterotestamentario, testo che presenta una drammatica attualitร , ci fornisce anche un esempio di quellโ€™amore che la pagina evangelica chiede al credente. Se il cuore della Torah รจ amare Dio con tutto se stesso e il prossimo come se stesso, anche lโ€™immigrato รจ prossimo da amare. Il comando presente nelle leggi veterotestamentarie โ€œamerai lโ€™immigrato come te stessoโ€ (Lv 19,34; cf. Dt 10,19), non sostanzia forse il comando โ€œamerai il prossimo tuo come te stessoโ€ (Lv 19,18) che Gesรน pone al centro della Torah (Mt 22,39)? Certo, si tratta di un amore effettivo piรน che affettivo, di un amore certamente fatto di caritร  e di calore umano, ma soprattutto di concreti provvedimenti legislativi e interventi sociali, di giustizia e di diritti, nella coscienza che noi umani siamo dei simili ancora piรน e prima che degli altri. Se la chiesa, โ€œospedale da campoโ€, non puรฒ che riconoscere nellโ€™immigrato un fratello, una sorella, la societร  civile รจ chiamata a mostrare il grado della propria civiltร  nel prodigare ogni sforzo di intelligenza e di umanitร  in quellโ€™opera di accoglienza e ospitalitร  che, per quanto problematico e faticoso, puรฒ porre le basi per un futuro di convivenza pacifica. Si tratta della traduzione in termini politici e sociali della parola amore.

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Per gentile concessione del Monastero di Bose